giovedì 17 febbraio 2011

First In Last Out (1 di M?)

Lo scossone, alla stessa ora, con la mano che fa presa sulla spalla destra e impiega sempre la medesima quantità di forza. Lo scossone del risveglio, accompagnato da parole specifiche, pronunciate col solito volume e tono di voce. Lo scossone che dura il tempo di tre spintoni contati, mai due o quattro, dosati con un ritmo dalla velocità bloccata.
“Sveglia”, sono le parole che dice, “ È giorno.”
E un altro giorno comincia, identico al precedente, e il nostro protagonista, che chiameremo con il nome di fantasia 1234, come il personal identification number nei dispositivi vergini, il numero preinserito durante la fase di post produzione, immediatamente prima del controllo qualità. A volte questo numero è formato da quattro zeri, ma li implicazioni filosofiche di una scelta siffatta ci esporrebbero a sospetti, facendoci esporre il fianco a fondate accuse di complottismo, doppio significatismo, insinuazionismo.
“Sveglia”, dice la mamma di 1234, o quella che per lui corrisponde a una mamma. Non avendone sperimentate altre, non volendo supporre di aver passato l'intera sua vita nella falsificazione, 1234 considera la donna che lo sveglia con lo scossone standard, modulato in tre tempi, la mamma di tutte le mamme, la mamma esattamente come dovrebbe essere una mamma, ovvero una Madre, infatti quando parla di lei, per motivi tuttora sconosciuti, ha smesso di dire mamma e ha iniziato a dire Madre, con la maiuscola espressa da un suono di M ben definito, voluto, una M che è in grado di essere onomatopeica, di esprimere una bocca sigillata che non trova le parole, e allo stesso tempo di rispettare il simbolo che tutti i simboli racchiude, proprio la M con i suoi muri e il suo architrave capovolto, le zampe ben piantate e le sopracciglia aggrottate. Sono i pensieri inconsci che 1234 percorre ogni mattina, al risveglio, una moltitudine di pensieri che si condensano come una stella morta e vanno a formare l'occhio del ciclone, il cerchio di calma immobile nel quale troneggia una grossa M che potrebbe essere quella di mamma o quella di madre, entrambe in grado di collassare su se stesse e intrappolare qualsiasi forma di luce, in un tempo oggettivamente così breve da essere inudibile, ma soggettivamente così lungo da suonare come un infinito emmeggiare.
Oggi si alza facendo attenzione, 1234, seguendo il metodo che ha scovato in un manuale di riflessologia indiano, o almeno pareva indiano a giudicare da certe illustrazioni tratte dalla mitologia religiosa orientaleggiante, anche se l'artista aveva modernizzato i soggetti per renderli più familiari all'occhio del fruitore, per rendere gli antichi concetti più abbordabili, si vedevano infatti acconciature da televisione in bianco e nero, roba abbastanza recente, di sicuro più vicina dei corpi pitturati con lunghe oscene lingue che sbucano da mandibole zannute, per non parlare degli occhi sporgenti vagamente rettiloidi. 1234 ripete mentalmente le fasi tecnoaiurvediche: prima sollevare il busto, reggendosi sui palmi sovesciati all'indietro per favorire il flusso energetico del chi, assicurarsi di utilizzare correttamente il diaframma sollevando i piedi, entrambi con tempo rane mente, c'era scritto così, forse un errore del traduttore, tempo rane mente, 1234 era convinto ci avesse messo il dito una potenza superiore, provocando un contatto elettrico nel cervello di tutti gli individui che hanno avuto a che fare col processo di realizzazione del testo, per fare in modo che il trittico di tempo e rane e mente rifulgesse intatto nelle mani del fruitore in cerca dell'illuminazione.
Rimane un po' così, seduto sul bordo del letto a guardarsi i piedi, cercando di visualizzare correnti energetiche variopinte nei polpacci, singole unità di chakra, o era karma, che dalla punta dell'alluce zampettano verso l'alto, verso il centro della sua mente, a portare nutrimento di amore, di felicità, o a piazzarsi come rane in mezzo allo stagno dell'anima. 1234 resta in ascolto, aspetta, finché la mamma, la venerabile Madre, pronuncia il richiamo, emette il primo avvertimento formale sotto forma di “Sbrigati.” Solo a quel punto 1234 si alza e si dirige in cucina.
“L'hai già letto”, dice 1234 osservando il giornale sul tavolo.
“No che non l'ho letto.”
“Mamma, si vede, me ne accorgo se un giornale è già stato aperto.”
“Ti dico di no, forse è stato tuo padre.”
Nella mente di 1234 la rana spicca un balzo, butta fuori la lingua e prende al volo il seguente pensiero: papà dice chiedi alla mamma, mamma dice chiedi a tuo padre.
“Non significa niente”, dice 1234.
“Che cosa?”, dice la Madre spadellando le uova nel suo piatto della colazione, quello di quando era piccolo, con il paesaggio montano, piatto che gli venne omaggiato da un proprietario di locanda durante una vacanza della quale 1234 non serba alcun ricordo, il piatto che da anni svolge la sua funzione di piatto della colazione di 1234. Le uova hanno un buon odore, pensa la rana masticando il pensiero dal sapore di uova, 1234 sbatte le palpebre e pensa di essere ancora sonnacchioso perché ha perso il filo del discorso.
“Sto dicendo che me ne accorgo se lo leggi perché le pagine diventano come stropicciate, non più, come dire...”
“Adèse?”, interviene il padre. 1234 non sa dire perché, si vergogna un po' di ammetterlo anche a se stesso, ma padre non ha la P maiuscola.
“Sì, insomma, l'elettricità statica si perde”, finisce 1234, e aggiunge rivolto al padre: “Questo volevo dire.”
Il padre annuisce, tenendo gli occhi bassi, controllandosi le unghie.
“Quante storie per un giornale”, dice la Madre buttando il piatto sul tavolo. Anche questo modo di fare, quanto dà sui nervi a 1234. Perché non lo puoi semplicemente appoggiare con garbo? La rana spicca un balzo e si nasconde nel fango, sul fondo.
“Perché dovrei aprirlo se da come vi comportate capisco subito che anche oggi niente?”
“Ti sbagli”, dice il padre, “So che ci tieni, non mi costa niente evitare.”
E tu, pensa 1234, perché non posso mai arrabbiarmi con te per qualcosa, perché non fai qualcosa di sbagliato, una volta tanto?
“A te non interesserebbe comunque”, dice 1234, e apre il giornale facendo più rumore possibile, arrivando a strappare via la pagina degli annunci di morte.
“Adesso calmati”, ordina la Madre, col tono che usa con la propria di madre, quand'ella si lascia prendere dai ricordi e parte coi rimproveri diretti a un uomo già morto, che come ultimo dispetto nei suoi confronti non è nemmeno riuscito a impedire la propria morte. La Madre dice le esatte parole, cadenzate, servite fredde e senza contorno, dice solo “Adesso calmati” e la nonna ammutolisce, perde lacrime silenziose e non singhiozza nemmeno una volta.
“Non mi voglio calmare!” Nelle intenzioni voleva essere un grido ma gli esce un borbottio, al quale segue una forchettata di uova per interrompere una sequenza immaginaria che rischia di comprometterlo, di chiuderlo in un angolo.
Il padre si schiarisce la gola. La Madre, 1234 ne è certo, lo fissa con il sopracciglio alzato, pronta a strappargli la vita con un incantesimo che solo i figli più ingrati rendono attuabile. Sfidami, dice il sopracciglio, vediamo fin dove puoi arrivare prima che l'anima ti scappi fuori dal corpo per volare nella mia mano come un uccellino spaventato.
“Vedi?”, dice 1234, la voce di uno che sta cercando di giustificarsi, “Nessun vecchio morto.”
Il padre butta fuori l'aria che sta trattenendo e si rilassa al punto che sembra sgonfiarsi sulla sedia, beandosi della salutare e prevedibile routine domestica, ora la Madre rinnoverà le speranze del figliolo, il ragazzo si rassegnerà a un domani slittato a domani, e lui potrà scommettere di avere una famiglia con chiunque si azzardi a sostenere il contrario.
“Sono anziani”, dice la Madre, “Prima o poi se ne vanno, lo lasciano il posto ai giovani.”
1234 mastica le uova e sente un pezzo di guscio fra i denti, la rana torna a galla, affiora per respirare e dice anche Lei è vecchia, e Lei ha la L maiuscola, ma forse è un problema di morfologia boccale anfibia, è un'allucinazione percettiva, 1234 non capisce davvero a chi si riferisca la rana, continua a masticare e pensa può capitare, non voglio ferirla, e infatti non dice niente, annuisce ancora e con l'aiuto di un pezzo di toast manda giù le uova e il guscio e tutto il boccone.
“Tua Madre ha ragione”, dice papà, “Ha sempre ragione.” E questa è una delle poche volte che 1234 non capisce cosa intenda dire suo padre, nel senso di dire per davvero, nel senso di lasciar intravedere per mezzo delle parole l'intimità dei propri sentimenti. Sempre ragione, cosa intendi dire esattamente? Sei ironico, sei sottilmente perfido, sei rassegnato all'inevitabile? Cosa sei, papà? Come sei diventato così come sei? Dov'è la manopola per metterti a fuoco, sei privo di definizione, papà, sei granuloso e sfarfallante.
“Non ti capisco”, dice 1234.
“Lo so, figliolo”, dice il padre, sorridendo come sorride quando vuole fargli credere di essere stanco anche se non lo è, quando chiede di poter scegliere il canale alla televisione sapendo che non è il suo turno, quando gli fai una domanda alla quale non ha e non avrà mai alcuna intenzione di rispondere.

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