giovedì 10 settembre 2009

Segnali dal futuro.



La fine del mondo. Causata da un'eruzione solare che brucia il nostro pianeta. Ai tempi del diluvio Dio incaricò Noè, ma costruire un'arca di legno è una cosa, costruire un'astronave è più complicato. Ecco che entrano in scena gli alieni, alieni buoni, così buoni che hanno l'aspetto di angeli, con tanto di ali luminose. Un momento, stai dicendo che è stato tutto un frainteso? Che abbiamo visto in passato gli alieni e, scambiandoli per messaggeri divini, ci siamo inventati Dio?

Ma partiamo dall'inizio. 1959, una bambina sente le voci, anzi i sussurri, e scrive sotto dettatura una pagina fitta di numeri. Schizofrenia? No, gli alieni conoscono il futuro e ci mandano un messaggio cifrato usando i bambini. Dopo l'uomo che sussurra ai cavalli, l'alieno che sussurra ai bambini. Perché i bambini e non, che ne so, il Papa o il presidente? Non si sa, forse i bambini hanno una mente più aperta, non ci viene spiegato.

Il messaggio viene infilato in una capsula del tempo da aprirsi 50 anni dopo. In quest'arco di tempo la bambina ha una figlia e una nipote, quindi si ritira in una catapecchia nei boschi dove tira le cuoia.

E siamo ai giorni nostri, 2009, aprono la capsula del tempo e la pagina fitta di numeri finisce nella mani di un bambino con problemi di udito (espediente per far sì che il padre metta in dubbio l'origine dei sussurri alieni senza ipotizzare malattie mentali?). Nicolas Cage è il padre del bambino e, che coincidenza, è un astrofisico che studia il sole.

Dopo qualche manovra per dilatare i tempi e creare attesa, finalmente l'occhio di Cage cade sui numeri 9-11-2001. Questa data mi ricorda qualcosa. Accende il computer e scopre che i numeri sulla pagina sono date di catastrofi con relativo conto dei morti. Essendo diventato ateo dopo la morte della moglie, viene catapultato in una grossa crisi spirituale: gli eventi sono frutto del caso o esiste una ragione superiore? L'evidenza che ha sotto mano dimostra che qualcuno, 50 anni fa, è stato in grado di prevedere il futuro.

Lo studio dell'elenco di numeri porta alla conclusione che mancano solo tre date, nell'ultima di queste il conteggio dei morti viene espresso due E rovesciate, vale a dire Everyone Else. Il protagonista riflette, se ci fosse il balloon come nei fumetti probabilmente leggeremmo: Adesso che mi ci fai pensare, il sole ha eruttato, la lingua di fuoco brucerà l'intero pianeta!

Per fortuna gli alieni angelici hanno pensato a tutto: ci sono altri numeri che indicano coordinate GPS. Peccato che manchino le ultime cifre, dato che la maestra nel 1959 ha impedito alla bambina di mettercele. Per tramandarle ai posteri la povera bimba ha dovuto distruggersi le dita per inciderle con le unghie nel legno della porta dello scantinato della scuola. D'altronde si sa: il viaggio dell'eroe del protagonista è sempre pieno di trappole, ostacoli e imprevisti.

Il nostro deve risolvere il codice cifrato, cercare di impedire il verificarsi delle ultime predizioni, trovare la vecchia maestra per scoprire dove sono le ultime cifre e, come se non bastasse, impedire che gli alieni nel frattempo gli rapiscano il figlio.

Dopo un po' di esplosioni, aerei che si sfracellano al suolo, metropolitane che deragliano, automobili che sgommano, arriviamo al giorno fatidico. Fate ciao col la mano, il nostro mondo sta per bruciare come la capocchia di un fiammifero.

Entrano in scena gli alieni con teste azzurre trasparenti in cui pulsano luminosi cervello arancioni, a bordo di strabilianti astronavi. Tanto di cappello agli effetti speciali. Sono qua per raccogliere un po' di coppie bambini in varie parti del globo e portarli su un nuovo pianeta. Cage affronta la tragedia di perdere il figlio e va a casa ad aspettare il grande Whhhhaaaammmmm di fuoco. Ha perso la fede quando è morta la moglie e l'ha ritrovata quando ha perso il figlio, può dunque affrontare sereno la fine. Altro applauso per effetti speciali della terra che brucia.

Altro pianeta. Eden di erba gialla, cielo purpureo, lune sospese, due bambini come Adamo ed Eva corrono verso un grande albero. Non si vedono serpenti.

martedì 1 settembre 2009

La prostituzione degli dei.

Noi che abitiamo nelle democrazie occidentali siamo in grado di descrivere il tipo di schiavitù alla quale vanno soggetti altri popoli meno fortunati. Parliamo di governi totalitari che impongono ideologie laddove si limita l'accesso all'informazione, si stronca qualsiasi devianza, si costruisce una società blindata. Quando la spinta all'omologazione parte dal basso, su fondamenta politiche o religiose che siano, e il governo non ha bisogno di mantenere il consenso con la forza diciamo che quel popolo non è ancora maturo per la democrazia.




Ma cosa intendiamo esattamente per democrazia oggigiorno? Un sistema di rappresentanza politica, certo. Un insieme di regole scritte nel rispetto di alcuni principi fondamentali di libertà e giustizia, sicuro. Un campo fertile per l'esercizio protetto e garantito di altri metodi d'oppressione, perché no? È ipotizzabile una democrazia che oggigiorno resti percepita come tale qualora vietasse qualsiasi comunicazione sul prodotto che non fosse inerente specifiche tecniche diffuse solo per mezzo di stampa specializzata? Forse è già troppo tardi per fermare la piaga del marketing. Sono pochi ormai gli ambiti della nostra vita di consumatori in cui il marketing non si sia già infiltrato in modo più o meno subdolo.



Consideriamo normale essere circondati da propaganda commerciale sempre e in ogni luogo. Fin da bambini si conoscono più nomi di marchi che di piante o animali. Ovunque ci cadano gli occhi vediamo marchi: in casa e per strada. Li portiamo addosso, ben visibili. Qualsiasi comunicazione audio contiene nomi di marchi e slogan pubblicitari, gridati o sussurrati che siano.

Diciamocelo chiaramente, i marchi sono i nostri nuovi dei. Abbiamo divinità per il benessere, per la salute, per l'amore e sono sotto forma di prodotti pubblicizzati con musiche rilassanti, voci melliflue, immagini da sogno. Non serve pregarli, è sufficiente comprarli. Tutti i nostri dei sono in vendita (nei migliori negozi!).



Abbiamo anche dei del focolare, che diventano nostri amici e membri della famiglia. Fanno colazione con noi, ci accompagnano in giro, ci aiutano, vengono persino a letto con noi. Basta guardarsi intorno, persino sul cibo c'è il marchio. Abbiamo dei che ci lusingano per poter essere mangiati da noi.

I prodotti non sono più inerti e passivi. Ci parlano, ci mostrano immagini, combattono fra di loro per accrescere il numero dei fedeli. E gli dei più ambiti sono quelli più costosi, che fanno promesse sempre più ambizione: eterna giovinezza, successo, potere. Se non possiedi l'emanazione fisica della divinità, il prodotto, non puoi far parte del gruppo dei vincenti, pertanto il tuo stile di vita è pietoso, sei un paria tenuto a distanza dagli eletti e ti sono precluse tutte le vie che portano alla felicità.

L'appartenenza a un ceto sociale non è più vincolato a meriti e risultati, è legato unicamente alla tua capacità di spesa. Se puoi permetterti di sfoggiare il tal marchio allora sei degno di alta considerazione, altrimenti scompari nella massa dei poco abbienti. È ormai quasi inconcepibile nella mentalità comune che una persona ricca non senta il bisogno di comprare oggetti di marca costosi.



La spinta all'emergere dall'ignoto si esprime in molte forme legate in modo esclusivo ai consumi. I nuovi dei forniscono strumenti per rendersi unici, diversi, riconoscibili nella folla dei comuni mortali. E a furia di ricercare l'unicità, si finisce per ritrovarsi in luoghi pubblici con l'intento di confrontare le rispettive unicità, ottenendo come risultato distacco e solitudine. Anche i moderni dei, come gli antichi idoli, pretendono attenzione e amore esclusivi.

Come un tempo gli dei sceglievano esseri umani per giocare le loro partite nel mondo, anche quelli moderni scelgono i loro eroi: campioni dello sport e dello spettacolo. Ce li propongono come modelli, come esempi viventi di quanto si può ottenere semplicemente orientando i nostri processi di scelta nel consumo dei prodotti verso il marchio del dio che ha mantenuto le promesse. Ci dicono: “Ecco, vedi? Io posso fare miracoli. Era un comune mortale, ora è un semidio e tutti lo adorano.”



La pubblicità non è più un mezzo per fornire informazioni reali sulla effettiva capacità di un prodotto a soddisfare un determinato bisogno materiale. Ora i prodotti si propongono come soluzioni spirituali anche quando il loro scopo di esistere non ha nulla di spirituale. In qualche modo tutti noi sappiamo che è un inganno, eppure lo consideriamo normale, lo definiamo uno stratagemma di marketing e chi ci casca vuol dire che è tanto stupido da meritarselo. Un atteggiamento inammissibile in qualsiasi altro ambito umano, espressione di una decadenza sociale e politica che ne è causa e conseguenza.

Quando gli dei moderni si sentono leader del mercato passano al livello successivo. Sfruttando l'innata tendenza umana al conformismo iniziano a dare veri e propri ordini al fine di superare le difese degli individui più refrattari all'indottrinamento. Gli slogan finiscono col punto esclamativo e dicono cose come “Bevi questo!”, “Pensa diverso!”. In questo modo vanno sostituendosi all'autorità etica, al buon senso, che guida le azioni della gente.



Abbiamo solo da poco bloccato l'accesso alla pubblicità agli dei del tabacco e dell'alcol. Fino a poco tempo fa era normale sentirsi proporre di fumare e di bere alcolici. Ma la questione non è tanto stabilire quali dei possano fare propaganda e quali no, è proprio il sistema della comunicazione slegata dal prodotto a suscitare preoccupazione. Un martello serve a battere un chiodo, non a procurare fortuna o godimento a chi lo impugna. Puoi spiegarmi perché un martello funziona meglio di un altro, non mettere una donna nuda che lecca il manico dicendo che da quando l'ha comprato non ha ancora smesso di essere felice.

Noi crediamo di essere liberi, specialmente rispetto ai popoli dominati da ideologie politiche o religiose di tipo fondamentalista, ma lo siamo veramente alla luce del potere esercitato dai nuovi dei? Provare a fare delle domande alla gente per strada, un po' di cultura e un po' di marchi e slogan. Alle domande sulla pubblicità sapranno rispondere.



La politica non vuole, non sa o non può dare una risposta al problema dei nuovi dei. I singoli sono chiamati a opporsi da soli, quotidianamente, all'aggressione psicologica della pubblicità. E i bambini? Gli adolescenti? Che armi hanno per difendersi? Come si può pensare che la famiglia possa far qualcosa senza l'appoggio della politica quando si tratta di combattere un mostro che è dovunque, giorno e notte, pronto a ghermire?



Abbiamo davvero intenzione di arrenderci di fronte a divinità interessate esclusivamente ad avere i nostri soldi in cambio di... di che? Di oggetti, di cose, molto spesso del tutto inutili. Il bello che gran parte dei soldi che ci chiedono viene usato per buttarci addosso altra pubblicità. Forse vogliamo questi dei, forse ci piacciono, forse abbiamo bisogno di sogni e speranze e non sappiamo più come procurarceli, sappiamo solo pagare qualcuno che ce li dia preconfezionati. Vogliamo chiamarla prostituzione degli dei?

martedì 23 giugno 2009

Come sconfiggere la macchina della verità.

C'è un solo modo sicuro per sconfiggere la macchina della verità: diventare inconsapevoli della differenza fra vero e falso. In definitiva, ce lo insegnano i filosofi, nulla è vero fino in fondo. La realtà è frutto di percezione elaborata, è soggettiva in un mondo forzatamente solipsistico. E che dire del falso? Falso rispetto a cosa, a chi, a quando? Qualsiasi cosa può essere vera in un universo parallelo.

Il punto di partenza per sconfiggere la macchina della verità e liberarsi del dogma che si possano dividere le cose in vere e false. C'è solo una probabilità che siano una delle due, e nessuno può dire quale sia. Può affermare che sia vera e nel farlo trovare persone disposte a sostenere il suo punto di vista, ma non può dimostrarlo in modo assolutamente certo. Vero o falso sono frutto dell'opinione dominante.

Non potete sconfiggere la macchina della verità da un giorno all'altro. Le convinzioni su vero e falso sono così radicate da anni di utilizzo da rendere vano qualsiasi tentativo di improvvisazione. Come qualsiasi abilità non innata serve inclinazione e addestramento. Il discernimento è necessario alla sopravvivenza e non è facile superarlo con un semplice atto di volontà.

L'attitudine all'indifferenza nei confronti della dicotomia vero-falso può avere origine nell'esperienza dell'inconoscibilità. Ci sono persone che credono esista una condizione di vero o falso a prescindere dalla possibilità di arrivare a una conclusione certa. E ci sono persone che invece considerano il vero e falso solo una condizione accessoria della reale natura di un evento di per sé inconoscibile. Abbiamo un esempio nella fisica, dove una particella assume uno stato solo nel momento in cui un osservatore la cerca.

Questa attitudine si rivela in molti aspetta della vita fin dall'età infantile, età in cui si è sommersi da verità effimere e falsità erronee. Ci sono bambini che ci tengono a sapere se esiste davvero babbo natale. Ci sono bambini invece che riescono a credere contemporaneamente che babbo natale esiste e non esiste, a volte esiste e a volte no. L'importanza che viene data dal soggetto alla conoscenza della verità varia moltissimo ed è in relazione con l'uso dell'immaginazione. Soggetti che ricercano in maniera a volte ossessiva la verità temono l'immaginazione come fonte di confusione. Viceversa l'immaginazione diventa fonte di spiegazione per il sostegno dell'improbabilità.

Supponiamo che una persona abbia un buco di memoria, non si ricordi qualcosa. Non essendoci alcuna certezza, ed è quanto generalmente succede, è possibile valutare la più vera delle ipotesi e convincersi che non può essere che quella la verità. Oppure è possibile lasciare il buco e accettare il fatto che qualsiasi evento è egualmente probabile, riconoscendo il fatto che lo si sta riempiendo con l'immaginazione. Cosa fareste voi in quel caso? Accettereste la parola di qualcuno che dichiara di saperlo? Potrebbe essere una bugia, magari detta a scopo benefico. O accettereste che nella vostra vita è entrato qualcosa che non può essere semplicemente vero o falso?

Ma l'attitudine non basta. Il corpo esprime in mille modi come la pensate nonostante quello che volete pensare. E questa comunicazione corporea esprime il conflitto fra il desiderio che tutto sia vero o falso e la necessità che non lo sia. Non si può fare niente per controllare il corpo in queste sue emanazioni di consapevolezza. O siete convinti che una cosa è vera oppure non lo siete. Solo quando si riesce a superare la barriera mentale della scissione della realtà in vero o falso il corpo seguirà di conseguenza, naturalmente, l'espressione di un convincimento sincero. Sì può essere sinceri anche esprimendo come vero ciò che un'altra persona ritiene falso.

In effetti la macchina della verità rileva la sincerità, non la verità. Può essere d'aiuto la pratica quotidiana. Essere costretti a mentire ogni giorno rende più semplice assottigliare la barriera del vero. Un lavoro di venditore, ad esempio, rende su un individuo predisposto del tutto inefficace l'uso della macchina della verità. Questa lavatrice durerà dieci anni? Certo, anche di più. Quest'auto è affidabile? Al cento per cento. Questo computer è potente? È il top della gamma.

Attenzione però: se arrivate al punto da poter sconfiggere la macchina della verità non sarete più in grado di tornare alla condizione di innocenza originaria!

venerdì 5 giugno 2009

Senza retromarcia

Anche in questo preciso momento miliardi di persone stanno facendo qualcosa. Anche stando seduto qua di fronte al monitor sento auto che passano, lavori stradali, vedo siti che si aggiornano. Mi sforzo di immaginare persone lontane e quello che stanno facendo. Una parte del pianeta è al buio, molti dormono, ma stanno comunque facendo qualcosa, si muovono nel sonno, sognano forse.

Quanti saremo a fare qualcosa in questo momento sul pianeta? Dieci miliardi di persone? Alcune stanno nascendo proprio ora, possiamo far finta di sentire i vagiti che coprono l'ultimo fiato di chi invece se ne va. Miliardi di cervelli impegnati ad analizzare l'attimo, il presente, cose come muovere la mano in un certo modo, ascoltare, guardare, progettare le azioni dei prossimi secondi, dei prossimi minuti. Gesti semplici, niente che comporti il futuro della specie. D'altronde sarebbe assurdo pretenderlo, non esiste una coscienza collettiva, solo miliardi di individui che pensano a lavarsi, a mangiare qualcosa, in definitiva a sopravvivere un altro giorno.

Noi fortunati che apriamo il frigorifero, il rubinetto, la portiera dalla macchina, la scatola dei medicinali, pensiamo che in fondo sia facile, quasi noioso, arrivare a domani. Altrove magari al domani neanche ci pensano, non ha significato il futuro, non ha senso la vecchiaia, quando tutto intorno si muore così, da un momento all'altro, bambini adulti vecchi non fa differenza, tutti sono soggetti a una morte improvvisa per le cause più strane e insondabili. Malattie senza nome a cui si dà l'aspetto di spiriti malvagi, incidenti che possono capitare e non hanno nulla di scandaloso, non provocano sdegno né rabbia, solo una serena, stanca, apatica rassegnazione.

Noi parliamo di futuro della specie, di futuro del pianeta. Ci sentiamo i padroni, i responsabili, i chiamati dal destino, gli eletti da dio, per risolvere problemi creati da pochi, gestiti da pochi, voluti da pochi. Subiti da tutti. E mi accorgo di essermi sentito in colpa, di aver creduto a quelli che mi dicono è anche colpa tua se il futuro è in bilico. Ho creduto fino a pochi secondi fa che i popoli civilizzati fossero colpevoli di tutto e i selvaggi di niente. Noi popoli grassi, dalla vita sedentaria, programmati a svolgere attività giornaliere del tutto estranee alla natura dell'uomo, gesti alienati in ambienti alienanti, giorni ripetitivi in ragnatele sociali, vincolati da gerarchie basate su regole subdole e illogiche.

Ma in realtà noi non abbiamo fatto niente. Noi siamo, in quanto più invischiati, ancora più vittime dei selvaggi abitanti di terre senza elettricità, senza asfalto, senza onde radio, soggetti ai capricci del caso che camminano abbracciati alla morte, senza tenerla nascosta nel ripostiglio come facciamo noi, terrorizzati ormai non solo dall'idea che la vita finisca, ma addirittura che col tempo il corpo si consumi, invecchi.

Noi non abbiamo fatto niente, semplicemente ci alziamo e cerchiamo di procurarci di che sopravvivere fino a domani, non siamo diversi dai selvaggi che non inquinano. Se per sopravvivere ci dicono di metterci la cravatta e andare in macchina a chiuderci in una stanza e parlare gentilmente con altre persone noi lo facciamo. Se fa freddo noi cerchiamo un modo per scaldarci, che sia legna che sia gas. Se ci danno dei pezzi di carta e un posto nel quale scambiarli con cibo noi prendiamo i biglietti e li usiamo per comprare da mangiare. Se stiamo male cerchiamo qualcuno che sappia che sostanze farci assumere per tornare in salute.

Chiunque al nostro posto farebbe la stessa cosa. Diciamo ai brasiliani non togliate la foreste. Diciamo agli africani non uccidete gli animali (nel Zimbabwe non esistono più molte specie di animali, sapete perché? La gente aveva fame e se le sono mangiate). Diciamo ai cinesi non diventate come noi. Ai sudamericani. Diciamo a mezzo mondo noi stiamo uccidendo il pianeta, non fate come noi.

Ma se non siamo stati capaci di impedire a noi stessi di agire con un orizzonte temporale più lungo dell'immediato, come potremo mai impedire agli altri di fare lo stesso? Di seguire le nostre orme. Siamo forse disposti noi a rinunciare, a tornare indietro? Potremmo accettare la morte di bambini piccoli per mancanza di medicinali? Potremmo accettare una vita media di quarant'anni costellata di malattie. Una volta potevamo, non molto tempo fa, diciamo un paio di secoli fa. Potevamo accettare di fare dieci figli e vederne morire otto. Potevamo accettare di sputare sangue per la tubercolosi liquidando il problema con un'alzata di spalle. Era normale.

Adesso che cos'è normale? 65 anni di giornate tutte uguali, incasellati nell'organigramma della società civile, come tanti piccoli robot al servizio di una formica regina che ci promette sorridendo l'annientamento del pianeta. Ci fornisce benessere materiale in cambio di una vita frenetica, piena di paure, le menti coordinate, omologate, assuefatte dai programmi televisivi. Mutui da pagare, stile di vita da mantenere, mode da seguire, tutti oboli da pagare per l'accettazione sociale, per emergere, per stare a galla, per non finire al livello dei selvaggi, sottopagati, malati, ignoranti, incivili.

E invece sai cosa? Non c'è differenza. Solo miliardi di persone che seguono il programma della sopravvivenza come meglio possono, guardando non a quello che deve fare l'umanità per arrivare al prossimo secolo ma quello che deve fare il singolo nei prossimi dieci minuti. Non è vero che noi viviamo meglio di loro, anzi, direi il contrario dal momento che i suicidi aumentano con il benessere materiale. Non è vero che noi siamo più istruiti dato che abbiamo scordato le regole elementari della vita sul pianeta e non sapremmo rimanere in vita in un ambiente naturale e non artificiale. Non è vero che a noi la morte non ci tocca fino alla vecchiaia dato che moriamo in macchina per le strade, ci vengono i tumori per lo smog, ci vengono gli infarti per lo stress.

In realtà noi abbiamo fatto un baratto. Abbiamo ceduto una vita intensa, profonda, significativa, umana nella più umile e vera delle accezioni in cambio... in cambio di che? Di un programma da eseguire come robottini per tutta la vita, giorno dopo giorno, come schiavi delle antiche galere, a spingere sui remi sotto la frusta di una formica regina senza nome. E nel farlo ci dobbiamo anche sentire in colpa perché questo scambio sta producendo come effetto la morte del pianeta.


lunedì 1 giugno 2009

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (14 di N)

- Papa.
- Buongiorno, hai dormito bene? -, apro la moka.
- Ho fatto un sogno, papa.
- Davvero? - sciacquo la moka.
- C'era il trombone.
- Il trombone?
- Sì, il trombone di Elia. L'ha rubato il bersagliere.
- Ah, che robe! - riempio la moka.
- Il bersagliere con le piume sul cappello.
- Piume di struzzo? - metto il caffè nella moka.
- Noooo, papa, piume nere.
- Un bersagliere con piume nere sul cappello che ruba il trombone di Elia - chiudo la moka.
- Sì papa, sì, e poi arriva il dinosauro.
- Eh? - metto la moka sul fornello.
- Il ticeatopo, anzi, no, il tiex.
- Un dinosauro? - accendo il fornello.
- E lo mangia.
- Si mangia il bersagliere?- tiro fuori la tazzina.
- Nooo, papa, mangia il trombone.
- E beh, il trombone è buono. - tiro fuori lo zucchero.
- È saporito.
- È piccante. - tiro fuori il cucchiaino.
- Sì, anche la trombetta.
- E la tuba anche. - metto lo zuccherro nella tazzina.
- La tuba papa?
- La tuba francese. - mi giro a guardarlo.
- Papa. -
- Dimmi. - mi abbasso per avere gli occhi all'altezza dei suoi.
- Voglio fare il bersagliere.
- Perché no? E' un'idea.
- Posso avere il trombone adesso?
- No, li ha mangiati tutti il dinosauro.
- Forse ne è rimasto qualcuno.
- Forse.
- Andiamo a cercarlo?
- Sì, dopo però, sono le sette del mattino, è ancora tutto chiuso, ora papa beve un caffè.
- No papa, sono già le ventinove. Andiamo dai, andiamo.

martedì 26 maggio 2009

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (12 di N)

Può capitare una gita con l'asilo, ieri, in pullman, al giardino zoologico, no scusa, ora lo chiamano parco faunistico, è un zoo con un nome senza implicazioni negative, ci sono animali in gabbia, è molto curato. Arrivo e dico “Madre, ha pregato per il bel tempo ma ha esagerato”, nel pomeriggio abbiamo toccato i 37 gradi, gli animali africani guardavano con pena la gente sconvolta che si aggirava fuori dal recinto, una curiosità mitigata dal senso innato della dignità tipica degli animali in gabbia, di chi non riesce a decidere se la libertà sia meglio di un pasto garantito.



Nel parco ci sono le scolaresche, vale a dire decine, centinaia di bambini. Vanno in giro a gruppi. Un gruppo indossa la maglietta gialla, un altro il berretto rosso. Hanno al collo il tesserino di identificazione. E corrono, gridano, giocano, come se non facesse così caldo, come se gli animali fossero nati per venire esposti, per venire guardati. “Maestra, guarda, perché ne hanno messo uno lì morto?” Non è morto, vedi, respira, sta riposando. A una certa età se qualcosa non si muove per diversi minuti è molto probabile che sia morto. E infatti le giostre, le altalene, gli scivoli sono presi d'assalto. Esserini accaldati, incuranti dell'afa, si arrampicano, corrono, si lanciano in giochi polverosi che non possono venir capiti da lontano. A volte scoppia un pianto, a volte richieste insistite, e ovunque bottiglie d'acqua che si svuotano.



Macchine fotografiche e telecamere. Borse e zaini. Tutto si muove tranne gli animali. Gli animali stanno fermi e questo può rendere nervosi, al punto che alcuni bambini scavalcano le recinzioni, uno di loro viene preso per i capelli da una scimmia, tirano sassolini al rinoceronte e poi scappano gridando si è arrabbiato ma è il rinoceronte molto attivo del desiderio d'intrattenimento, il rinoceronte vero ha solo mosso un orecchio, vagamente infastidito.



C'è il trenino e quando passa tutti fanno ciao. Ci sono le capre coi distributori di mangime a pagamento per chi vuole provare a nutrirle, ci sono cammelli ippopotami tigri otarie alligatori. Ci sono lemuri cicogne bisonti testuggini. Gli struzzi a becco aperto difendono le uova. Le giraffe cercano di raggiungere con la lingua rami troppo distanti. “Guarda papa, guarda!” E' tutto così esaltante che nel giro di un'ora vuole tornare a casa, poi riposa, beve un po' di succo di frutta ed è pronto a ricominciare. Io gli suggerisco le battute, è una cosa che mi riempie di soddisfazione. Ha i capelli in piedi, digli di prendere la spazzola. “Prendi la spazzola!” Sei tutto spettinato, datti una sistemata. “Sei spettinato! Dov'è la tua spazzola?”



E d'un tratto il parco si svuota. Rimangono due suore in attesa del trenino. Un addetto che muove il badile in un tombino intasato. La voce all'altoparlante che manda avvisi, poi tace anche quella.

↑x8 (3\n)

Ascolto pubblicità alla radio mentre leggo le notizie del giorno. Non ascolto veramente, mi arrivano parole sparse: vincerai, paghi la metà, premi, curve, offerta, fino a quattro. A volte mi chiedo se esiste al mondo qualcuno felice di ricevere un messaggio pubblicitario. Mi immagino ad esempio una persona maniaca dell'igiene che si sente meglio nell'apprendere di una nuova profumazione, una forza pulente mai vista prima. Oppure una persona taccagna, che vuole comprare tutto senza spendere niente e sta male, me la vedo con una mano sul portafoglio e l'altra sullo stomaco, coi bruciori, che guarda nelle vetrine con gli occhi lucidi e si sente meglio solo ricevendo proposte di risparmio. Gente che non ha mai vinto nulla e vive ogni nuova possibilità di vincita come l'occasione giusta per cambiare il corso sfortunato di una vita costellata di sconfitte.

Intanto leggo le notizie. La corea del nord prosegue nei test per missili nucleari. L'iran pure. Quasi tutti hanno la bomba atomica. Io mi chiedo cosa se ne facciano, se davvero pensano di lanciarle, di polverizzare città intere. A Napoli nigeriani tentano di rapire una bambina di 11 anni perché piace al loro capo. I nigeriani di Napoli hanno un capo e gli portano bambine italiane. Son sempre i bambini che ci vanno di mezzo. La figlia di Tyson, anni 4, si strangola col le corde degli attrezzi nella palestra di papà. Ieri una donna si lancia dal balcone con il figlio di 1 anno in braccio, L'altro ieri, per gelosia, una tizia lancia dalla finestra il bambino della cugina. E poi notizie di crisi economica, di delinquenza, di estati sempre più torride.

E alla radio parlano di vacanze, ancora più esclusive, scontate, sportive, all inclusive, last minute, parole inglesi usate solo per dare fascino all'offerta. E mi immagino persone in piedi dietro al linea di partenza, che si aggiustano sul naso pacchiani ma firmati occhiali scuri, si tirano l'elastico del bikini, si mettono in posa come manichini robotizzati, i nervi tesi nell'attesa del via per la gara al più... al più cosa? Fico? Trendy? Cool? Che parola verrà tatuata sul vincitore affinché si sappia che... che cosa? Che ha un patrimonio genetico-estetico superiore? Che non può venire criticato dal massimo esperto in frocerie di quest'anno?

Tutti gli altri sono massa, sono pubblico, sono quelli pelati, lo sguardo un po' abbattuto dei cani maltrattati, i bottoni della camicia tirati sul pancione da bevitore di birra, le donne dai capelli rovinati da un parrucchiere poco blasonato, col culo un po' basso, le tette massacrate dall'allattamento di troppi figli senza tata, bambini che non gireranno mai uno spot per via di asimmetrie, disfunzioni geometriche, anomalie cromatiche, forse scarne gesticolazioni metaforiche.

Poi le cose si complicano, faccio confusione, vedo un capo nigeriano nello spot di un telefonino, vestito da guerriero che corre nelle vie di Napoli, inseguito da una modella armata di crema da sole, e nel cielo un dirigile coreano che si tira dietro lo striscione “Prenditi anche tu una bomba in testa, da oggi in missile risparmio!” e come coriandoli tirano bambini dalle finestre mentre una languida ragazza in bikini passa una spugna sul sorriso al fosforo di un personaggio televisivo.

sabato 16 maggio 2009

Se il Sole fosse il nucleo di un atomo i suoi elettroni sarebbero da 2 a 20 volte più lontani di quanto dista Plutone.

venerdì 15 maggio 2009

Negli ultimi 30 anni si sono estinti il 25% dei vertebrati terrestri e il 28% delle specie marine.

martedì 12 maggio 2009

↑x8 (2\n)

- Voglio la pizza, papa. -
Ha la febbre, gli occhi cerchiati, arrossati, tossisce.
- Adesso telefono e la ordino, che ore sono? -, chiedo a nessuno in particolare.
- Sono le ventinove. -
Sorrido, per mio figlio sono sempre le ventinove.
La solita pizzeria oggi è chiusa, ne cerco un'altra sull'elenco.
E' una cascina ristrutturata, all'interno ci sono tanti tavoli apparecchiati ma solo uno è occupato. Il personale sta cenando, è ancora presto.
Ci sono delle stampe alle pareti. Due di queste si intitolano vieille noces. Nella prima c'è un vecchio curvo sul bastone che viene aiutato ad alzarsi dalla sedia. Ha una smorfia di dolore o fastidio sul volto. Intorno a lui persone che spillano vino dalle botti, cani festosi, gente che ride, un suonatore di trombone, brindisi, ceste di pane, dolci. E il corteo della giovane sposa con bambini che gettano petali, fiocchi, coriandoli. E una folla di sguardi luminosi, sospettosi, ironici, tristi, gioiosi.
Il personale parla di macchine. L'assicurazione non ti rimborsa il danno se supera il valore del veicolo. Guido io perché lui schiaccia mentre io vado a velocità di crociera, come la gente normale. E' una ragazza robusta che parla, ha i capelli rossi fissati dietro la testa con un fermaglio a molla, la pelle sulle guancie è segnata, un occhio leggermente strabico. Si muove rapida quando tutti insieme si alzano e iniziano il turno di lavoro. Ha l'aspetto di una persona serena, dice l'avevo avvisato ma lui ha voluto cambiarla ma chissene, se la paga lui, io la mia mi va benissimo.
Nell'altra il vecchio è in piedi, anche lui ha un bastone ma ha l'aria di godersela. Occhialini rotondi di metallo, ben pasciuto, nella posa a schiena arcuata all'indietro di una nave rompighiaccio. Guarda la sposa e sembra deglutire, l'acquolina in bocca. Una sposa timida, dimessa, da rossore e mani inquiete. Tutt'intorno festoni, allegria, un animale, un maiale o un vitello non si capisce, scuoiato nell'aia col macellaio sporco di sangue che guarda la sposa a denti scoperti.
- Arriva Battista -, dice il cameriere che nel frattempo ha indossato una giacca di cotone cremisi gualcita e forse stazzonata ma può darsi sia solo il volto lucido e l'ombra di barba a farmelo pensare, - Sette meno cinque, è il nostro orologio vivente. -
No, penso, sono le ventinove. Battista entra, commenta una primavera troppo calda, si avvia a quello che intuisco essere il suo solito tavolo.
Le mie pizze sono pronte. A casa scoprirò che la crosta non è croccante e che sulla mia hanno dimenticato di mettere i funghi.
Intanto il cameriere porta a Battista l'acqua, -Gasata ma non fredda -, dice con tono affettuoso. Battista annuisce lentamente e per un attimo lo sovrappongo al vecchio sulle stampe, anche se non so decidere quale delle due.