venerdì 12 marzo 2010

Asilo.

Dall'asilo escono alle tre e mezza, ma alcuni pagano un extra e possono ritirare i figli più tardi. Quando è ora la strada si riempie di macchine e, se non fa troppo freddo, di biciclette con uno o più seggiolini omologati. Per rendere la cosa più letteraria posso inserire una considerazione altamente significativa sul senso della vita (i giovani che passano con la radio a tutto volume, il subwoofer nel baule che fa vibrare le otturazioni e ancora non capiscono che un giorno contribuiranno a creare il traffico davanti all'asilo che ora li disturba, del tutto insofferenti all'esistenza di fasce di età differenti da quella 15-25) o sui sentimenti del protagonista (continua a pensare che un giorno tutto questo ti mancherà, dice a se stesso), però sono le 5 del mattino e ho in sottofondo la colona sonora di Quake II, hard metal, per cui forse non è il caso.
All'asilo mentre aspetti vedi tante cose succedere e dopo un po' conosci tutti, di vista intendo anche se azzardi un cenno di saluto a coloro che incrociano il tuo sguardo e non lo spostano immediatamente. Per esempio c'è la giovane mamma che urta la macchina vicina parcheggiando e fa finta di niente, controlla che nessuno abbia notato l'incidente, passa di nascosto la mano sul piccolo sfriso al paraurti e probabilmente immagina giustificazioni col marito, il padre, l'assicuratore, il magistrato, l'onnipotente alla fine dei tempi.
Ci sono dei trucchi per il parcheggio che impari col l'esperienza. Se trovi posto perpendicolare al marciapiede non entrare del tutto, lascia fuori il culo della macchina di un metro, sennò ti bloccano, mettono le quattro frecce e ti tocca aspettare i loro comodi. Se la lasci mezza fuori non hanno posto per piazzartela dietro. Tieni un mazzo di vecchi scontrini di avvenuto pagamento, tira fuori quello con l'ora giusta e sistemalo in modo che non si veda la data, un euro risparmiato è un euro guadagnato, anche se in realtà non serve, i vigili lo sanno che è l'uscita dell'asilo e a quell'ora non si fanno vedere o chiudono un occhio.
Tra la gente che viene all'asilo io aspetto di vedere la cieca. Per rendere il tutto più letterario posso usare un linguaggio più complicato (i suoi piedi disturbavano il leggero strato di polvere che ricopriva il marciapiede per l'intera lunghezza e il suono di piccoli usignoli infreddoliti echeggiava sulla persiane scolorite della finestra alle sue spalle, decorata con tendine a macramè, quando i suoi pensieri virarono come d'incanto al lontano giorno di primavera in cui lui la prese per mano) ma solo le 5:23 e hard metal eccetera.
La cieca usa un bastone e lo muove come l'antenna di un insetto meccanico eppure a volte non basta, urta una bicicletta appoggiata contro il muro, mette il piede su una cartaccia. La cieca di solito porta gli occhiali scuri ma non sempre, quando non li porta si vede che tiene gli occhi socchiusi e ha le pupille perlacee. Guardo sempre la cieca che arriva all'asilo e penso che lei non può sapere se qualcuno la sta osservando. Non lo trovo triste, solo curioso, come uno specchio che non riflette. Guardo ogni passo che fa per scoprire che succede, se il bastone le segnalerà un ostacolo anche minimo come un'imperfezione dell'asfalto, il bordo di un tombino. La cieca sorride quando arriva vicino all'asilo, trova sempre qualcuno che la conosce, la salutano, parlano con lei. Non lo fanno perché è cieca, un sacco di gente come me sta solo attento a non finirle tra i piedi, dato che è cieca, così vicino a lei c'è solo gente che la conosce davvero.
Tutti gli altri che non hanno problemi di vista si ammucchiano uno addosso all'altro, aspettando che la bidella apra le porte. Per rendere tutto più letterario posso far succedere qualcosa di interessante per sviluppare una trama (una scenata di gelosia, un terremoto, l'apparizione dell'antagonista) ma sono le 5:38 eccetera. Una volta la cieca era in compagnia di un altro cieco, però non calmo come lei, un cieco che muoveva la testa intorno, come a inseguire i suoni con le orecchie, per appropriarsene, per esserci completamente. Anche lui aveva un bastone ma teneva gli occhi chiusi e il suo sorriso era strano come quello di chi non ha mai visto sorridere nessuno, neanche se stesso. Lui non mi piaceva osservarlo, non era come la cieca, non mi faceva pensare che dopotutto essere ciechi era solo questione di abitudine.
La cieca a volte ho la sensazione che sappia tutto, che mi farebbe un cenno di saluto se potessimo incrociare gli sguardi. Ci conosce tutti per la diversa puzza che abbiamo, per i rumori che facciamo, per la quantità d'aria che spostiamo. Ci osserva come noi osserviamo lei, solo che i ciechi siamo noi. Se ci fosse un modo di incrociare gli sguardi senza incrociare gli sguardi farebbe cenni di saluto a tutti quanti. Non credo di essere il solo a pensarlo dal momento che quasi tutti evitano di guardarla, come se in qualche modo lei ci vedesse e facesse solo finta per ridere delle nostre reazioni. Poi rischia di inciampare in un gradino e allora lo capisci che è cieca davvero e quando capita diventi un po' triste. Se invece arriva dritta in cima alle scale e non continua a salirle dopo che sono finiti i gradini pensi wow e sorridi.
Potrei rendere tutto più letterario ma 5:51, la musica è finita, tanto vale preparare la colazione, un paio d'ore e apre l'asilo.

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