lunedì 1 marzo 2010

Si chiama pesce, pesce rosso.

Tanto ha insistito che alla fine ho dovuto portarcelo, al negozio degli animali. Ci sono anche due squaletti, in un acquario rotondo, e girano girano girano. Prendi in braccio il piccolo per farglieli vedere da vicino. I due squaletti realizzano un loop infinito e vanno in senso antiorario, sempre. Gli occhi non si muovono, la bocca si apre e si chiude in maniera quasi impercettibile, a ritmo regolare, le branchie svolazzano come lenzuola stese nella brezza. Mio figlio si stufa di guardare gli squali nel giro di pochissimo.

Andando al negozio di animali c'era una coppia di sposini in posa per le foto, nel giardino di un ristorante. Un hummer formato limousine, bianco, decorato con fiocchi di plastica, con l'adesivo della ditta di noleggio sul baule, posteggiato lì vicino. Chissà fra dieci anni, ho pensato. Mi capita di andare soprappensiero, credo sia tipico di chi ha la mania di scrivere per separare da sé tutto ciò che ha immaginato, per depurarsi e tenere segrete solo le cose vere, autentiche. L'idea che un giorno non sarà più possibile, che il demone ti butti fuori e tutto quello che hai si riduca a cosa immaginate, a un sogno ad occhi aperti.

“Vieni papa, guardiamo i pesci.”

Questa volta ne compreremo uno. Spero non voglia la tartarughina perché ne ho avuta una da piccolo e nessuno si accorse che era morta finché non iniziò a puzzare. Gli davo dei colpetti col dito per farla muovere ma non volevo svegliarla. Non ero più così' piccolo da non sapere che la realtà non era come la televisione, come i libri, come le storie che si raccontano i grandi per non alzare bandiera bianca e sdraiarsi in terra, in mezzo alla strada, cessando di insistere nell'aggiustare le cose. Ecco, pensavo, le tartarughe nella realtà dopo qualche giorno, quando ottengono di essere comprate e portate a casa, smettono di insistere, si sdraiano lì dove sono e dormono tutto il tempo.

Questi sposini che rimangono immobili nel giardino del ristorante specializzato in pranzi matrimoniali e roba simile. Agape svuotato di senso, come il lento ruotare di lancette a forma di squalo. Me li vedo tra dieci anni a guardare quelle foto e lui dirà a lei, o viceversa, ti ricordi l'hummer? Quale hummer? Non ti ricordi? Ah, la limousine dici, certo che me la ricordo. E si baceranno pieni di affetto e riconoscenza, penseranno al fotografo e si chiederanno che fine avrà fatto, come si chiamava? Forse dovremmo contattarlo, farci fare altre foto per il decimo anniversario. Hai ragione, caro o cara, e rinoleggiamo la macchina, rifacciamo tutto, che idea magnifica.

I pesci rossi non si possono scegliere, questo dice il cartello. Meno male che non vuole quelli tropicali, quelli strani, quelli di mille colori. È quando succede che gli va bene anche un misero pesce rosso, nemmeno gli è dato di sceglierlo, che mi si spezza il cuore solo a guardarlo. Mi sembra un essere molto più degno di me, che esprime una saggezza a me preclusa, un essere meritevole di qualsiasi sacrificio da parte mia. È contento, ride. Come lo chiamiamo, gli chiedo. E lui risponde come se fosse una domanda stupida. Lo chiamo pesce, pesce rosso. Non dare mai nome alle cose, traduce qualcosa dentro di me, e mi rendo conto di non sapere come si chiamasse la tartaruga.

Gli sposini raggiungeranno gli ospiti e partiranno i festeggiamenti. Canti, balli, risate. Non saranno di quelli che a lei fanno male i piedi e lui vorrebbe dar fuoco al locale, no, saranno perfetti. Tra dieci anni non sarà cambiato nulla, come in certi film, in certi libri, che vanno avanti come squaletti in un acquario rotondo per tutta la vita, e a un certo punto muoiono insieme, nello stesso momento, abbracciati, col sorriso sulle labbra. Nel loro mondo le tartarughe vanno a batteria, i pesci rossi ne scegli uno fra mille e quello diventerà speciale, avrà un nome tutto suo, sarà un pesce amato e quando si sposerà noleggerà a sua volta un hummer.

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