martedì 15 giugno 2010

Alla scuola dei preti (4*N)

Alla scuola dei preti ci si confessava, si partecipava alla messa. Ho smesso di confessarmi nella scuola dei preti quando non ho ricevuto l'assoluzione. Il prete era pelato, stava seduto ingobbito, aveva la fronte lucida di sudore, aveva gli occhiali così sporchi da far pensare alla cataratta, dalla sua bocca usciva un forte odore di vino. Aveva il naso grosso e rosso e gonfio come se qualcuno non avesse fatto altro che svegliarlo con un pugno sul naso ogni benedetta mattina della sua vita. E aveva l'espressione di uno preso a pugni sul naso da una vita intera. Gli dissi che non vedevo più Gesù. Gli dissi padre, mi perdoni, non vedo più Gesù. Lui parve rianimarsi, cercare di vedere bene al di là di quelle lenti luride. Finalmente ho trovato qualcuno così marcio da avere il coraggio di prendermi in giro, non lo disse ma erano le parole nel fumetto della sua espressione.

La colpa è di due professori, il saggio S e la sensuale C, sono loro che mi hanno introdotto al vizio della lettura e della scrittura. Il saggio S con la sua mania per il jazz mi ha passato dei libri. Mi ha passato i nomi dei jazzisti. Me li ha passati come si lasciano cadere gli spiccioli nel bicchiere di carta di un mendicante, mi ha fatto sentire come un parassita senza il pizzico di orgoglio che basta a rifiutare aiuti gratuiti. E io che pensavo fosse un gesto cortese, una proposta di armistizio, perfino un attestato di simpatia. Era elemosina, era pietà. Meno di zero, il primo, me ne consigliò la lettura, non era così sicuro che la mia fosse solo finzione, che facessi finta di essere cieco e storpio, ubriaco e disteso sul marciapiede fra escrementi di cane. Lo comprai e lo lessi. Imitai lo stile per scrivere a penna, su un quaderno, 'C'è un verme nella mia mela'. Lo diedi da leggere alla sensuale C, nonostante fosse pieno di parolacce, di scene erotiche, di droga e cinismo e profonda disperazione. Me lo restituì senza dire niente a parte “C'è qualcosa di vero qua dentro?” col tono di chi se lo chiede sul serio, di chi è turbato all'idea di essersi nutrito di plastica.

Non lo vedo più da nessuna parte, se n'è andato. Il prete ha cominciato uno stupido interrogatorio sul come, sul dove, sul perché. Gesù, fottuto di un prete mezzo sordo, mi ascolti quando parlo? Non ho detto fottuto al prete, ho detto padre, Gesù che cammina per le strade, Gesù che mi parla, Gesù che fa parte del mio mondo sia dentro che fuori, non c'è più, capisce padre, non lo vedo più, se n'è andato. E lui a chiedermi se intendo vederlo davvero, con gli occhi, a chiedermi esattamente dov'è che lo vedevo. Quella orribile puzza di vino che mi provocava la nausea, il fastidio alle ginocchia che diventava pian piano dolore. Ma soprattutto gli occhiali, non riuscivo a sopportare le ditate di unto, i frammenti polverosi. Padre, anni fa, da bambino, percepivo Gesù come una presenza, ero pieno di entusiasmo per Gesù, lo vedevo in ogni cosa, in ogni persona, in ogni frangente, mi faceva compagnia l'idea che ci fosse Gesù in giro. Adesso non lo vedo più, padre, riesce a capire di cosa sto parlando? Lui che dondola un po', si ritrae - grazie, allontana insieme a te il fetore che ti esce dalle fauci – e dice esci. Lo dice schifato, lo dice inorridito, lo dice impaurito. Esci, ripete, esci, a voce sempre più alta e più decisa.

Il saggio S inizia a passarmi libri sottobanco, di nascosto. Mi passa un libro che parla di un musicista ubriacone che va a morire in Messico. Mi passa un libro che parla di una newyorkese ricca che vive in un bell'appartamento con vista sull'Hudson e alla fine si scopre che è un fantasma. Poi non mi passa più niente, forse è una cosa sbagliata, forse ha messo a rischio la sua reputazione stringendo un legame con un alunno al di fuori dei suoi doveri prettamente scolastici. Ormai ero assuefatto, non avrei mai pensato che la lettura può causare crisi di astinenza, addirittura overdose se non si fa attenzione agli eccessi. Ho reincontrato il saggio S sul tram, a Milano, mi ha chiesto cosa fai e io ho sbagliato risposta, al posto di dire frequento l'università, la Bocconi, qui dietro, ho risposto scrivo delle cose. Non ha fatto tanto d'occhi, è rimasto indifferente, ha detto anch'io scrivo, cose per la scolastica, in questo momento un testo di geografia, e tu su cosa stai lavorando? Su niente, avrei dovuto rispondere, perché non scrivevo più, avevo smesso come si smette di fumare, con il senso di colpa della voglia di accendersi la sigaretta sapendo che è sbagliato, che fa male. Ho detto su una cosa, e lui ha capito che mentivo, ho cambiato argomento perché avevo l'impressione che entrambi stessimo per scoppiare in lacrime silenziose. Ha scritto il suo numero di telefono su un biglietto del tram usato, ha detto magari qualche volta ci vediamo, ho detto ma certo, sicuro, e il biglietto l'ho perso quasi subito o l'ho buttato, non ricordo.

Non capivo se faceva sul serio, mi veniva da ridere e questo lo fece arrabbiare di più. Esci, esci di qua, subito! Niente assoluzione, niente penitenza? No, vai da un altro prete, io non posso dartela. L'ho guardato ben bene prima di alzarmi e uscire. Ho guardato i peli che gli uscivano dalle orecchie, ho guardato i segni di acne sulle guance, gli ho guardato la punta degli incisivi nella fessura dischiusa delle labbra sottili, ho guardato il tentativo di riporto sulla pelle sottile e tirata del cranio, ho guardato le lenti cercando di scorgere gli occhi, di trovare un indizio di follia dentro quell'uomo. L'ho visto diventare trasparente, l'ho visto diventare piccolo, l'ho visto andare via là dove è andato il Gesù che una volta incontravo dappertutto. Ho detto va bene. Sono andato da un altro prete e ho ricevuto l'assoluzione. Ho confessato cose come parolacce, bugie, cazzate insomma. Mi ha chiesto se mi masturbavo e ho detto no, son cose private, fatti i cazzi tuoi. Ok, non l'ho detto, ma ho recitato molte preghiere in più per penitenza quindi siamo pari.

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