mercoledì 13 aprile 2011

Due date.

Il titolo originale è 'Due date', che significa data di scadenza o data di consegna, un titolo che ha inerenza col film, dal momento che la storia si regge su un appuntamento imprescindibile com'è quello di una gravidanza giunta a termine. E in Italia come lo abbiamo tradotto? 'Parto col folle', ecco come, per l'ennesima volta, qualcuno si diverte a farci fare la solita figura di merda, a ricordarci che siamo italiani e ci comportiamo in osservanza di stereotipi e cliché che ci hanno, a questo punto giustamente, con cognizione di causa, appiccicato addosso nei secoli. Perché traduciamo i titoli? Perché li traduciamo orecchiando bisogni di marketing, previsioni di gradimento, senza alcun rispetto per l'opera né per chi ci ha lavorato? Qualcuno ha il potere di prendere un titolo e di stravolgerlo, cosa che, se non si è capita, mi fa venire i nervi. Vorrei sapere chi cazzo è che ha deciso che due date si doveva vendere in Italia come parto col folle. Così, lo vorrei sapere per curiosità, per vedere che faccia ha, se ha l'aria di uno intelligente o la faccia da pirla. Eppoi perché non posso scegliere di guardarlo in lingua originale coi sottotitoli? È un film inglese, non parlano mica turco o cinese. No, me lo devo sorbire doppiato, con afroamericani che parlano con l'accento barese magari, o con vecchi toraci da rauca voce baritonale che parlano con voci da ragazzino atletico. Lasciamo perdere, qui da noi siamo abituati a lasciare perdere, a subire di tutto, e allora passiamo ci sopra e andiamo avanti, un bel respiro e via, ecco, è passato, va meglio, chiudiamo la parentesi e torniamo a sorridere. Poi mi chiedono perché sono asociale, misantropo, perché preferisco stare zitto e spegnere il cervello. Per legittima difesa, ecco perché, per non sentirmi troppo alieno, straniero a casa mia.

Veniamo al film, che tanto polemizzare è tempo perso, ti ridono in faccia. Il film è una commedia che parla dell'amicizia come sentimento molto simile all'amore, una situazione in cui ci si trova senza volerlo e senza aver modo di uscirne. L'amicizia si presta a valutazioni razionali molto più dell'amore perché non ipotizza progettualità finalizzate o adesioni istituzionali come l'azienda famiglia (l'istituzione famiglia è una azienda e una società di mutuo soccorso, non lo dico io, lo dice il codice civile), per cui il film tratta un argomento per certi versi nuovo, sviluppato in termini nobili dalla problematica dei sentimenti omosessuali con tutte le problematiche giuridiche che ne derivano. In effetti uno dei due protagonisti potrebbe essere gay, non so se la sceneggiatura prevede un atteggiamento promiscuo o se è una scelta interpretativa dell'attore, in ogni caso è uno degli elementi di genialità che rendono una commedia leggera come questa degna di una visione intellettualmente partecipata. Alla fine del film si scopre, volenti o nolenti, che il confine tra amicizia e amore è alquanto sottile e che i sentimenti umani sono qualcosa che va al di là di manifestazioni affettive legate alla sessualità. L'amore alto, l'amore cristiano fatto di alterità e sacrificio e compassione, l'amore che si esprime fra persone che a livello razionale si detestano ma che non riescono a ignorare il legame potente delle affinità spirituali, delle reciprocità e delle specularità. Una sceneggiatura che merita rispetto e stima, soprattutto tenendo conto del fatto che nasconde temi profondi nella leggerezza e nelle pieghe a tratti demenziali di una commedia brillante.

I protagonisti sono un attore comico di origini greche che non mi ricordo abbia ottenuto parti di grande spessore finora ma che comunque possiede notevoli doti comunicative, le prove di questa bravure sono sparse un po' in tutto il film ma basta anche, per esempio, guardare i pochi secondi in cui fa il brando del padrino, l'ho visto fare a molti eppure lui riesce a farlo in modo completamente suo, diverso da ogni altro, impresa non così facile come può sembrare, provateci voi e poi ne riparliamo. C'è anche il giornalista di assassini nati (il titolo l'han tradotto abbastanza bene, bisogna ammetterlo, in originale era natural born killers, anche se potevano lasciarlo in inglese, c'è forse una legge che ci obbliga a tradurre i titoli? c'è qualcuno che non sa cosa vuol dire natural o killer?), anche quello un film che bisogna vedere almeno una volta nella vita. Il film lo fanno loro due, gli altri sono nomi famosi ma potrebbero essere anche figuranti presi a caso dal marciapiede, non aggiungono niente alla storia. Storia che è una tipica on the road americana, dove si passa molto tempo insieme dentro a una macchina e si è costretti ad approfondire la conoscenza reciproca. Sorprendente e memorabile la scena in cui il giovane senza cervello diretto alla pentola d'oro che c'è alla fine dell'insegna di hollywood reagisce sghignazzando di fronte all'elaborazione freudiana del lutto eseguita del compassato e laureato professionista in un momento di fiducia, apertura e vulnerabilità.

Con procedere della storia si aprono e si chiudono conti in sospeso fra i due amici a loro insaputa e contro la loro stessa volontà, si creano debiti di riconoscenza, crediti di stima, esperienze condivise che vanno in un fondo comune che diventa giorno dopo giorno sempre più prezioso. Il colpo di scena finale che c'è e non c'è, prima della chiusura del cerchio che inserisce un tocco magico alla narrazione. Insomma un lavoro che non vincerà mai dei premi, che non verrà mai sostenuto dai puzzalnaso e dagli scarpelustre, ma che esprime con molto più vigore e passione la risposta a un'autentica chiamata artistica, obbligandoci a riflettere sulla nostra posizione ideologica nei confronti di schemi mentali che pensiamo di dominare ma che dai quali spesso veniamo dominati. Un film che è un invito alla resa e che necessita e sfrutta la forma commedia proprio per ricordarci che nella vita esistono cose che non sono gestibili e che queste cose si possono paragonare a un pianto ma anche, perché no, a una risata. E chi pensa che far ridere sia più facile, che a ridere son capaci anche gli stupidi, questo film dimostra che no, che ridere a volte è la parte più difficile, soprattutto se non ti diverti facilmente come si diverte anche uno stupido, se quando tutti gli stupidi ridono tu ti accorgi che non ti diverte, e quando tutti gli stupidi piangono tu devi trattenere la risata. E ti chiedi a quel punto chi sia più stupido, se ha ancora senso fare questa e altre più gravi distinzioni.

[fuori campo]: "Mio padre non l'avrebbe mai fatto, mi voleva bene."

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