mercoledì 1 giugno 2011

Elogio funebre di una madre ancora in vita (001)

Dobbiamo scegliere da che punto iniziare, parlare di una persona non è come descrivere un ponte o un fiore, non è come raccontare un evento realmente accaduto, non è come spiegare la tecnica migliore per un effetto garantito. Se poi quella persona è un conoscente, un amico, un parente, o come in questo caso la mamma, significa vagliare una quantità di ricordi in grado di riempire il più capace dei contenitori, così che noi si rimanga inondati, si finisca sommersi, annaspando per restare a galla, finendo per aggrapparci alla prima cosa che ci capita sotto mano, consapevoli che mostrandola sembrerà poca cosa, per niente in grado di fornire informazioni nella misura in cui invece noi ci affoghiamo dentro. Potremmo iniziare dalle parti belle o da quelle brutte, anche se quelle brutte ci sembra un dispetto ricordarle quando non c'è più nessuno a cui rinfacciarle, in grado di difendersi, di negare o almeno di risentirsi. Ricordare quelle belle è la scelta più semplice, ci fa sentire migliori, anche se non c'è più nessuno da mettere in imbarazzo, in grado di smentire, di schernirsi o anche solo di ritenersi lusingato.

Siamo qui per egoismo, in fondo, la parte oscura dell'altruismo di ogni specie e natura, la nobiltà del gesto commemorativo, la liturgia della condivisione sociale del dolore purché mentale, astratto, tutto ma non fisico, le con-doglianze, il dolersi in compagnia, un tempo c'erano professionisti pagati per dar sfogo materiale al patimento spirituale altrui. Diamo conforto senza fare fatica, senza spendere un bottone, una stretta di mano, un paio di occhiali scuri per nascondere lacrime improbabili, una frase di circostanza, ecco fatto, abbiamo pagato un debito verso la morte, abbiamo messo in banca qualche risparmio che ci verrà restituito, si spera, quando toccherà a noi starcene sdraiati a subire la processione dei curiosi e dei nostalgici, di coloro che vorranno constatare da vicino il grado di invecchiamento e paragonarlo al proprio, mentendo sull'espressione felice, sul pare stia dormendo, e tutta la sequela di frasi preconfezionate che si tenta di personalizzare, di rendere originali mettendoci del sentimento, esagerando le pausa, inserendo un singhiozzo o un calo di voce che non sembri studiato. Grazie comunque di essere intervenuti alla cerimonia, mia madre ci ha sempre tenuto alle cerimonie, non considererebbe accettabile un'uscita di scena alla chetichella.

Potremmo partire dalla sua generosità, dalla sua capacità sovrumana di sacrificio personale, dalla sua determinazione e costanza, dalla sua precisione e mania di controllo, dal suo gusto per il potere e il comando, dalla predilezione per lo charme e il savoir faire, dalla sua infanzia da incubo, dall'amore inesplicabile per un uomo come mio padre, e viceversa, oppure tagliarla corta e partire da qui, iniziare dall'ammirazione per le grandi donne della sua epoca, cantanti liriche come la Callas, la principessa Grace Kelly, per citarne solo un paio, ma ne aveva a decine in catalogo, aveva donne senza le quali i mariti sarebbero appassiti nel giro di uno sguardo gelido e una voltata di spalle, donne con voce straordinaria e irripetibile, donne di classe donne intelligenti donne esplosive donne di talento. E uomini, Kennedy, Onassis, Papa Giovanni il Buono, una sfilza di uomini da mischiare e pescare a caso come carte da un mazzo per fare paragoni. Una vita di modelli irraggiungibili, una vita di altalenanti convinzioni riguardo alla propria adeguatezza, scalando le vette dell'esaltazione e precipitando nelle trappole dell'afflizione. Il rifiuto della mediocrità, l'incubo terrificante della normalità, anche in questo momento, la guardo e non posso fare a meno di chiedermi se il paradiso l'ha trovato di suo gradimento o se va lamentandosi che non va bene niente, non è un posto adatto a una signora.

Amava i vestiti, amava i gioielli, amava le macchine, le ville, in una parola tutto ciò che è lusso, tutto ciò che è costoso, ma nemmeno, no, sto sbagliando, la verità è che desiderava far parte di una classe sociale diversa, molto diversa da quella in cui è nata. La verità è che ha capito una cosa che molti intellettuali si rifiutano di accettare: l'appartenenza a un ceto non è più determinata dalla sostanza ma esclusivamente dalla forma. Ce l'hanno insegnato i film, i documentari, le favole. La cameriera sposa il principe. Il gangster va a pranzo con il banchiere, lo scienziato, il politico, il generale. Il dopoguerra, il boom economico, guardo mia madre e vedo un libro, vedo la testimonianza vivente della tradizione legata ai luoghi dove sono nato e cresciuto che si mischia a culture così lontane da poter essere dietro l'orizzonte o su un altro pianeta, vedo la globalizzazione che si rivela nell'individuo, vedo lo spirito dei tempi, il panteismo dell'immaginario collettivo che si dispiega in corollari fatti di educazione, stile di vita, senso dell'umorismo, moda, adesione incondizionata a matrici di pensiero implicite, abitudini, obblighi sociali. Guardo mia madre e ci vedo rispecchiata un'epoca e riassunta un'epopea individuale, famigliare, nazionale, globale.

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