venerdì 6 novembre 2009

Smettere - Capitolo 1 - 2






(Disclaimer: bozza, prima stesura, contiene linguaggio esplicito)




1

Se ne stava seduto composto su una delle panche di cemento della metropolitana. Non si alzava all'arrivo dei treni, non spostava nemmeno lo sguardo dal monitor del suo netbook. Sembrava una statua, come quella dell'uomo di bronzo con la ventiquattrore aperta sulle gambe vicino a Wall Street, nel parchetto con i tavolini a quadrati bianchi e neri, per giocare a scacchi. Muoveva le dita sulla tastiera, le cuffie con microfono a tenergli a posto i capelli, come un cerchietto che andava di moda tanti anni fa. Se ne stava lì, su quella superficie fredda e sporca, come stesse in poltrona, figura immobile circondata da luci, rumori, poster pubblicitari, graffiti, sbuffi di vento all'arrivo del treno, annunci gracchianti dagli altoparlanti.

Leonard lo osservava da lontano, giorno dopo giorno, includendolo nell'elenco delle solite cose. Cose come aprire il tubetto del dentifricio tenendo fermo il tappo e girando il resto, come strizzare il filtro della prima sigaretta rigirandolo fra pollice e indice della mano destra. Soffiare sullo zucchero a velo della brioche stando chino in avanti per evitare di sporcarsi i vestiti. Controllare l'ora passando davanti all'edicola per evitare di incrociare lo sguardo sempre così triste e confuso sul volto del giornalaio, chiuso nello sgabuzzino a scrutare i passanti con l'aspetto di un animale gravemente ferito. Le solite cose; anche osservare l'uomo statua era diventata una solita cosa.

L'uomo statua era vestito di roba scadente, da grande magazzino. Non sembrava un disperato di quelli che ti chiedono soldi raccontandoti tragedie personali poco verosimili. Non era così magro da far sospettare tossicodipendenze. Non aveva l'espressione di chi è abituato a nascondersi in un vicolo, al buio, ad aspettare la vittima ideale. Eppure. Eppure Leonard non capiva, era curioso di sapere, così se ne stava in piedi a distanza, ogni mattina dei giorni feriali, ad osservarlo. Non era il solo, c'era come un cerchio vuoto intorno all'uomo statua, come se un campo di forza impedisse alla gente di avvicinarsi troppo ed erano molti a fingersi distratti mentre si soffermavano a osservare. Alcuni perplessi, alcuni sospettosi, alcuni divertiti. Poi arrivava un treno e gli spettatori partivano, lasciando il posto ai nuovi arrivati.

C'era un cartello appoggiato in terra ma bisognava avvicinarsi parecchio per poterlo leggere. Bisognava entrare nel cerchio magico e correre i rischio di disturbare l'uomo statua, con effetti imprevedibili. Bisognava arrivare proprio di fronte all'uomo statua, e rivelare il bisogno irrazionale di immischiarsi in questioni che non ci riguardano. Se avesse alzato la testa e, incoraggiato dall'imprudenza dell'invasore, si fosse ritenuto autorizzato a instaurare un dialogo? Se avesse chiesto all'improvviso aiuto, soldi, favori? Magari afferrandoti per la manica o alzando la voce per rendere pubblica una tua eventuale reazione scomposta. Troppo rischioso. Solo un pazzo o un bambino di questi tempi potrebbe sottovalutare il pericolo degli incontri occasionali. Come il ragazzino in impermeabile e stivaletti di gomma che proprio in questo momento strattona inutilmente il braccio di sua madre per sbirciare il cartello, col solo risultato di essere trascinato di peso a distanza di sicurezza.

Leonard aggiornò l'elenco delle solite cose guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno l'avrebbe spinto giù sui binari prima di allineare la punta delle scarpe alla linea gialla quando il tabellone segnò due minuti all'arrivo del treno. Fu a quel punto che l'uomo statua si mosse. Leonard trattenne il fiato. La madre del bimbo in stivali accentuò la stretta sulla manina. La guardia appoggiata al muro in fondo afferrò la ricetrasmittente e si mise in attesa. L'uomo statua alzò la testa, fissò Leonard negli occhi, annuì, sorrise e tornò ad occuparsi di qualsiasi cosa stesse combinando col netbook. Leonard riprese a respirare. Un minuto all'arrivo del treno. Si era aperto un corridoio nella folla tra lui e l'uomo statua, come se avesse sparato un raggio laser dagli occhi capace di rendere inadatto alla presenza umana lo spazio fra di loro. Alcune persone si stavano lentamente allontanando da Leonard. Sei stato contagiato, disse una voce molto simile a quella di suo padre nella mente di Leonard. Aveva un tono canzonatorio quella voce, come quando da piccolo andava da lui in piena notte coi postumi di un incubo. Non esistono i mostri, diceva, sono solo dentro la tua testa. Si era scordato di aggiungere che in certe condizioni possono uscire e diventare veri, quando si diventa abbastanza grandi da poterli affrontare nonostante la paura. Riposa in pace papà, replicò Leonard in maniera automatica. Sentì montare la rabbia e cedette all'impulso nel modo in cui si cede quando si sta per fare qualcosa di cui ci si pentirà per il resto della vita: sorridendo solo con la bocca, gli occhi invece a fessura per proteggersi da se stessi, consapevoli che è già troppo tardi.

Leonard si avviò a grandi passi verso l'uomo statua. Gli si fermò di fronte, uno sceriffo da spaghetti western che ha raccolto la sfida del bandito. L'aria montava e già si sentiva in lontananza, nel tunnel, il sopraggiungere del treno. L'uomo statua non diede segno di averlo notato, di nutrire ancora l'interesse nei suoi confronti mostrato poco prima. Forse era soprappensiero e non stava davvero guardando me, pensò Leonard, era semplicemente immerso nelle sue fantasie. Come la spieghi la reazione della gente, disse la voce di suo padre, il fottuto corridoio. Non poteva essere davvero la voce di suo padre, non avrebbe mai usato parole come 'fottuto'.

- Riposa in pace papà. -

L'uomo statua chiuse il portatile e disse con voce forte e chiara, una voce profonda e roca da mal di gola: - Come dice scusi? -

Non aveva replicato a papà in silenzio? Leonard non lo sapeva. Il rumore del treno era molto forte adesso.

- Sta calpestando il mio cartello -, disse l'uomo statua puntando il dito a terra.

Il cartello era occupato da scarabocchi senza senso, una pseudo scrittura inframezzata di immagini ombreggiate a matita. Una sola scritta nel centro, in piccolo, in stampatello: 'Vuoi smettere?' Leonard scoppiò a ridere.

- Mi scusi -, stava per aggiungere signor uomo statua e ciò lo fece ridere ancora di più. Si sentiva come un ragazzino di fronte a uno scherzo ben riuscito. Lo sbuffo delle porte automatiche alle sue spalle lo fece sussultare mentre cercava di aggiungere qualcosa senza spruzzare di saliva l'uomo statua in un accesso di ridarella nervosa. Uomo statua che lo guardava con un sopracciglio sollevato, come lo Spock di quei telefilm quando non capiva una battuta del medico di bordo. Spock nella metropolitana con uno stupido cartello ai piedi fu l'ultima goccia, Leonard non risucì a trattenere le risate.

- Mi scusi -, cercò di aggiungere mentre si girava per correre nel treno prima che si chiudessero le porte. L'uomo statua era tornato a concentrarsi sul netbook, come se nulla fosse successo. Leonard alzò la mano con le dita aperte in un saluto vulcaniano quando il vetro delle porte si frappose fra di loro. Scoppiò di nuovo a sghignazzare raccogliendo le occhiate di rimprovero degli altri passeggeri.

2

Non era ancora uscito dalla metropolitana che il telefono di Leonard partì con la fuga di Bach a tutto volume. La suoneria associata al numero del suo datore di lavoro, Klaus Bazinsky, che stava già sbraitando prima della connessione.

- ...significa, eh? Rispondi! Volete che mi venga un accidente, vero? -

- Con chi ce l'hai, capo Kappa, voi chi? - Leonard camminava col telefono fra spalla e orecchio mentre rovistava nelle tasche in cerca delle sigarette.

- Finalmente rispondi, pensavo che fossi morto! Con chi ce l'ho? Con chi ce l'ho? - Leonard s'immaginava le guance sempre più rosse, gli occhi sporgenti - Mi prendi per il culo? Dove cacchio sei? -

- Dieci minuti e apro la porta del tuo ufficio, capo Kappa – rispose Leonard, strappando il pacchetto di lucky strike morbide per tirare fuori quella che ancora non sapeva essere la sua ultima sigaretta.

- Spero tu abbia una pala e che ti ricordi come si usa! - urlò Klaus.

- Una pala? - Leonard usò l'accendino e ispirò a fondo.

- Sarà divertente guardarti mentre ti seppellisci vivo se non hai con te almeno le bozze. - La risata di Klaus era una frana di odio in una miniera di malvagità.

Leonard non la sentì perché gli era caduto il telefono. Un attacco inatteso di colpi di tosse l'aveva fatto piegare in due e il telefono era caduto sul marciapiede. Era avvelenata, disse la voce di papà, ti rimangono pochi secondi di vita. Leonard gettò via il mozzicone e rimase chino, le mani sulle ginocchia, a riprendere fiato. Non gli era mai capitato di provare tanta repulsione in vita sua, per una sigaretta poi, l'adorato bastoncino catramoso.

Raccolse il telefono, ti rimise dritto e controllo il pacchetto. Le due sigarette rimaste sembravano normali, forse quella gettata era difettosa. Arsenico, disse papà. Si sentiva bene, la crisi di tosse era superata, forse più tardi avrebbe provato ad accenderne un'altra, facendo attenzione. Cianuro, disse papà. Ora basta, riposa in pace.

Klaus stava incornando l'aria, sbuffando come un toro, avanti e indietro a gran passi sul tappeto nel suo ufficio. Non salutò, non lo guardò in faccia, si fermò e allungò la mano.

- Dammi quello che voglio o te ne andrai -, disse.

Leonard gli mise in mano un fascicolo di A4 non rilegati, scritti a mano, pieni di correzioni e note a margine.

- Andarmene dove? -, chese.

Klaus andò a sedersi dietro la scrivania. - Era una citazione, ma cosa vuoi capirne tu? -

Leonard fece spallucce, capo Kappa era matto, questo era un dato di fatto in ufficio e nessuno stava più a interrogarsi sul significato di quello che diceva. L'importante era capire gli ordini e portarli a termine velocemente. Del resto si occupassero parenti, amici e dottori.

- Cos'è quanta roba? Ma porca di quella lurida! Allora ditelo che volete farmi esplodere un vaso sanguino nel cervello e vedermi paralizzato a sbausciare in qualche ospizio di merda! -

- Con che ce l'hai, capo Kappa? Voi chi? - Leonard controllava che il telefono non si fosse guastato nella recente caduta.

- Volete che mi incazzi, lo so, pazzi bastardi! -, Klaus si voltò a guardare finalmente Leonard in faccia, - Roba da caschetti di alluminio da cucina! Tre giorni alla scadenza e tu mi metti in mano questa merda? Dove siamo, in televisione? -

- No, capo Kappa, ascolta un momento -, ma Klaus era già partito in una delle sue sfuriate, si era alzato e fingeva di cercare telecamere nascoste in giro per l'ufficio.

- C'è qualche cazzo di presentatore decerebrato che ride di questa gag? Partono gli applausi registrati quando tiro fuori dal cassetto una bomba e minaccio di far saltare l'intero palazzo? Mi fate gli scherzi, eh? Volete mandarmi al manicomio! -

- Capo, non c'è nessuno, solo io e te, Kappa ascoltami -, Klaus portò gli occhi arrossati a pochi centimetri da quelli di Leonard e vi scrutava dentro.

- Hai ragione, calmati ora, ma che stai facendo? -, chiese Leonard.

- Sto cercando id vedere se c'è rimasto un briciolo di intelligenza e di talento in quella testa enorme che ti ritrovi. -

- Quella che hai in mano andrebbe bene, dai, lo sappiamo entrambi ma forse ho di meglio. -

- Ti ha mai detto nessuno, che so, tua madre, i tuoi insegnanti, che hai una testa enorme? - disse Klaus girandogli attorno, prendendo le misure della testa di Leonard con le dita.

- Nessuno prima di te, capo Kappa, ma dicevo stamattina ho avuto un'idea mentre ero nella metro, ne verrebbe un reportage, senti che roba, siediti che ti spiego. -

- Una volta ho conosciuto uno con la testa enorme quasi quanto la tua, era un idiota totale. - Klaus andò a riempirsi un bicchiere di rum, lo scolò d'un fiato e se ne riempì un altro.

- Hai sentito di quelle persone che appaiono come funghi in diversi posti della città? -

Ora Klaus era interessato. Aveva smesso di parlare della sua testa e far paragoni con zucche e palle da bowling. - Come funghi. -

- Sì, all'inizio si cercava di farne una notizia ma dopo un po', dal momento che non rappresentano un pericolo e non fanno niente di interessante, tutti hanno smesso di scriverci sopra e mandare servizi alla tv. -

- Bella merda. - Per Klaus tutto era degno di un bella merda a commento esplicativo per cui era difficile capire se bella merda nel senso di interessante o bella merda nel senso di noioso.

- Prendo Max, lo porto con me a scattare due foto, rimedio un'intervista e prima di sera ho materiale per qualcosa di meglio di quello che hai in mano.

- Anche il pelo sputato da un gatto randagio è meglio di quello che ho in mano. -

- È un via libera? - Leonard annuì speranzoso davanti allo sguardo depresso di Klaus.
- Un giorno mi farete perdere la pazienza e allora vi pentirete di tutto il male che mi avete fatto. -

- Capo Kappa, voi chi? Con chi parli, se lo chiedono tutti. - Leonard sorrise, componendo il numero di Max.

- Sei ancora qui? Porta quella testa orrenda fuori dal mio ufficio.- Leonard non raccolse, era già in piedi diretto alla porta e parlava al telefono con Max.

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