martedì 20 aprile 2010

Le cose che cambiano quando c'hai un figlio (24 di N)

A un certo punto non te la puoi cavare con spiegazioni illogiche. Inventare serve solo a evocare nel bambino espressioni da adulto che un adulto vero non lascerebbe emergere. Espressioni che stanno per 'Ho l'impressione di avere a che fare con un idiota'. Gli adulti veri cercano sempre di evitare l'innesco di situazioni conflittuali a titolo gratuito. I bambini no, sono immuni a certe piccole furbizie ipocrite, ai collaudati stratagemmi della diplomazia. Non conosco nessuno che più di mio figlio sa darmi tante volte del pirla al giorno con la sola potenza dello sguardo, tranne forse mia madre, e mia moglie, a ben pensarci. Forse è una facoltà connessa a uno stretto legame di parentela.

Come fai a ricambiare con un atteggiamento sprezzante, a farti valere con un bambino che deve aspettare altri tre mesi per compiere cinque anni? Ammesso che tu abbia un carattere con la tendenza a farti valere anche quando la fatica che comporta è superiore ai benefici che ne potresti ottenere. Al massimo un po' di autostima, niente di che se non ne soffri una carenza patologica. Si nasce predatori e si muore prede. Diventare vecchi ha qualche vantaggio, se si è in grado di riconoscerlo. È più facile adattare una mente giovane a un corpo vecchio, non c'è bisogno del bisturi, è sufficiente sdraiarsi a terra con le mani sulla testa, non opporre resistenza all'arresto.

Fuori tema, certo, è colpa del rap di frontalot, scrivere con frontalot a tutto volume in cuffia porta degli scompensi. Adoro il fuori tema, fosse per me affronterei qualsiasi argomento solo per avere l'occasione di parlare d'altro. L'ultima volta che mio figlio mi ha dato del pirla sfoderando una faccia da adulto è stamattina. Si è messo con un libro aperto in grembo, sdraiato sul divano. Che tenero, fa finta di leggere, anche la posizione assomiglia a quella del papà, quando si stravacca sul divano a leggere.
“Stai leggendo?”, chiedo.
“Sì, non vedi?” L'asilo, la colpa è dell'asilo se ha preso certe cattive abitudini. Risposte sgarbate, ordini perentori, l'interazione con i coetanei dà i suoi frutti.
“Cerca di essere gentile, non sono tuo fratello.”
“Lo so, lo so. Adesso sono impegnato.”
“Non sai leggere.”
Seconda occhiata politicamente scorretta.
“Non mi rispondi, eh?”
“Mi lasci leggere in pace o cosa?”
“Non sai leggere.”
Terza occhiata.
Punto il dito su una parola e dico “Leggi, che parola è?”
Fa lo spelling. “Ti, e, erre, erre, a.”
“Visto? Non lo sai.”
“Terra. La parola è terra.”

Ha imparato a camminare, a correre, a saltare. Il tuo controllo è sempre più risicato. Lui diventa grande e tu diventi piccolo. Ti senti piccolo, in maniera diversa, una modalità correlata al dare un senso al domani, ti si restringe l'ego, ti diventa come quei calzini che sbagli il tasto della lavatrice e te li puoi usare come scaldadito. Ti sei dato troppo da fare. Gli hai insegnato i numeri che aveva appena smesso di gattonare, sapeva più numeri che parole. Tutti quei programmi per computer che insegnano a leggere, scrivere, far di conto. Correlazione occhio mano. Puzzle, giochi di logica. Labirinti, cruciverba, la fottuta penna parlante. Hai creato un mostro, ti meriti le occhiate che ricevi. Dovevi fare l'opposto, impegnarti a ritardare la crescita. Dov'è finito quel coso sbauscioso che rideva quando facevi le imitazioni di animali marziani, ballando davanti al seggiolone, eh? Non ti guardava così allora, vero? Bastava poco. Quante cose sono già andate perdute per sempre. Si avvicina il momento, sai che arriverà. Imbraccerà un fucile metaforico e comincerà il tirassegno. Maledetto Freud.

“Adesso sai la vera storia del pinguino?”
“Sì, Pablo, è ovvia e banane.”
“Banale, non banane.”
“Dove la leggevi tu?”
“Non capisco.”
Quarta occhiata.
“Quando leggevi tu, dove leggevi quelle diverse?”
“Ah, in quel senso. Non leggevo, inventavo.”
“Non sai leggere? Vuoi che ti insegno come si fa?”
Quinta occhiata.

Meno male che per il momento rimangono le finte lotte sul tappeto Ikea, il tappeto più venduto al mondo, quello con il paesaggio e le strade su cui far correre le macchinine. Non sa capire la tabella degli orari dei treni, non ha un lavoro, le sue possibilità di indipendenza sono al momento ancora piuttosto ridotte. Già lo vedi che tirerà fuori opinioni e convinzioni che reputerai assurde, che se ne andrà in giro in posti in cui tu non metteresti mai piede. Sta crescendo. Adesso quando non vorrà andare all'asilo gridando “Sono stufo di asilo! Stufo, stufo, stufo! Ci sono andato mille volte, è sempre lo stesso, io mi stufo all'asilo!” non potrà nascondersi dietro la scusa di essere piccolo, di potersi concedere scenate infantili, non dopo che le sue espressioni facciali hanno tradito una complessità inaspettata. Tutto ciò è un guadagno ma è anche una perdita.

“Andiamo, metti le scarpe.”
“Dove, a cercare i sassi per fare la grotta al mio pesciolino? Così potrà entrarci quando vuole fare un pisolino?”
“No.”
“Dove, a prendere il drago che aveva la coda rotta e non poteva volare e poi l'aggiustiamo e gli diamo da mangiare?”
“No.”
“Lo sai cosa mangia il drago nero?”
“Veloce, metti anche l'altra che andiamo.”
“Mangia l'erbetta? Nooooo.”
“Sei pronto? Metti il giubbetto che fuori c'è frescolino.”
“Mangia frescolino? Noooo.”
“Mangia i bambini che non vanno all'asilo.”
“Asilo? Asilo?!?!? Non posso andare all'asilo oggi, c'è chiuso.”
“Oggi è martedì, è aperto.”
“No, sono sicuro che è chiuso. E poi sono stufo, te l'ho già detto ieri.”
“Poche storie, non ricominciare, tutti i giorni la stessa storia.”
“Quale storia, quella del drago? Sai cosa mangia?”
“Lo so che è tutta scena, me l'ha detto la maestra che ti diverti.”
“Beh, mangia pesci, ecco cosa, non serpenti, non camellonti.”
“Camaleonti.”
“All'asilo ci sono i cameolenti, io ho paura dei cameolenti, quindi, oggi, non ci posso andare, oggi, all'asilo. Hai capito?”
Sesta occhiata e sono solo le otto del mattino.

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