lunedì 12 aprile 2010

Neverwas

Molti attori collaudati per un film sul malessere. Un uomo senza casa e senza contatti umani reagisce creando attorno a sé un mondo immaginario nel quale si svolge la favola della sua vita. In questa favola lui è un re che deve difendere il suo castello. Uno scrittore mette in un libro queste fantasie. Il protagonista parte da zero. Prima scopre che il libro si basa sulle allucinazioni grazie alle quali un uomo in carne e ossa riesce a far fronte al vuoto della solitudine e della povertà. In seguito scopre che la favola possiede degli ancoraggi nel mondo reale: la mappa dei luoghi in cui si svolge la narrazione aderisce a un luogo fisico, un bosco che esiste davvero appena fuori città. Il re ha veramente un castello da difendere, una catapecchia abusiva che una ditta incaricata del disboscamento vuole abbattere.

Anche questa sceneggiatura segue il modello del viaggio dell'eroe. Oltre al problema professionale (psicologo che cura l'uomo che si crede un re) del protagonista abbiamo anche il problema personale (lo scrittore che ha usato le fantasie del re era il padre del protagonista e si è suicidato, causando uno shock nel figlio adolescente che gli ha provocato perdita della memoria e sensi di colpa vari) e il problema privato (inizia relazione con una ragazza che lo inganna, nascondendogli il fatto di essere una giornalista che sta scrivendo un articolo sul padre scrittore e sul libro in questione). Anche i vari personaggi sono ricalcati da archetipi: l'araldo, il cambiaforme, il guardiano, il mentore, l'alleato, il giullare. Addirittura la caverna passa da metafora a oggetto materiale inserito nel plot. Crisi nel secondo atto e climax nel terzo, c'è proprio tutto.

Se qualcuno sta studiando l'arte di scrivere, in particolare una sceneggiatura, può divertirsi a scomporre questo film per collocare i vari pezzi nelle caselle del manuale di Campbell o di Vogler o di qualcun altro. Ma forse, purtroppo, questa è l'unica qualità importante del film. Gli attori si impegnano. Scenografia e fotografia curate. Regia con alcuni guizzi d'ingegno. Ma l'impressione generale rimane quella di un congegno a orologeria. La tensione drammatica è blanda e sfilacciata. La sindrome dell'uomo seduto fra due sedie si esprime anche stavolta nella decisione di aggiungere romanticismo a mistero, poesia a thriller, ecologia a depressione. Il tentativo di accontentare tutti finisce come al solito per deludere.

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