mercoledì 2 marzo 2011

Il crocevia dei sognatori (001)

(Disclaimer: bozza, prima stesura.)

La certezza di afferrare nuovi dettagli sogno dopo sogno, visita dopo visita, era confermata nel disegno a china nel cassetto della scrivania, nella camera chiusa a chiave al piano di sopra. Roland approfittava di ogni scusa per accertarsi che il disegno fosse ancora lì, disteso a faccia in giù dentro al cassetto, temendo che l'unica prova tangibile da mostrare alla corte il giorno in cui venisse messo in discussione il suo equilibrio mentale se ne volasse via, il foglio si sarebbe girato dentro al cassetto come un escapista, mimando in due dimensioni gli sforzi e le contorsioni necessaria a sputare la forcina per capelli, tenuta abilmente nascosta sotto la lingua, sul palmo della mano legata dietro alla schiena. Aprire il cassetto e ritrovare il disegno era fonte di continuo stupore per Ronald, non poteva trattenersi dal sorridere e dal sentirsi soddisfatto per averne impedito la fuga grazie al continuo esercizio della preoccupazione.

Approfittando del permesso di andare in bagno, Ronald era salito in camera a sincerarsi che fosse tutto a posto. Era l'ultimo modo di dire che stava dilagando nei corridoi della Galileo 'Formiamo l'eccellenza' Galilei, partita dal supplente di filosofia, il signor Trevor McWudd, ribattezzato Tavor Tuttapposto. Ronald prese il foglio con due dita e lo sollevò per sbirciare che fosse tutto a posto anche sotto e finalmente si sentì appagato, si era riempito la bocca di carne per fare presto, per correre a controllare, convinto che quel foglio una volta girato avrebbe rivelato tutt'altro, non la foresta dalle mille cime pinose, non la linea confusa di nubi e di nebbie dei monti a nord, non la locanda del crocevia, il volto del Guercio alla finestra del secondo piano, la stanza traballante del Cacciatore sul tetto di ardesia, la Capa con le mani sui fianchi, in piedi davanti all'ingresso principale, e il suo grambiule macchiato di sangue. Il disegno di Roland non poteva competere con la limpida verosimiglianza del sogno, ma pian piano aderiva alla consistenza dell'autentico, del tangibile, e ogni nuovo dettaglio recuperato durante il sonno poteva avere un'importanza critica. - Tuttapposto -, disse Roland controllando per l'ennesima volta in controluce che l'inchiostro degli ultimi ritocchi fosse asciugato, trattenendosi dal verificare con la punta dell'indice. Quella sera avrebbe riprovato a creare l'insieme di emozioni e pensieri che aprivano la dimensione giusta, l'unica in grado di consentire l'accesso al Crocevia, pensava Roland rientrando in sala da pranzo.

Zia Fran stava interrogando Alex sulla natura della malattia che aveva impedito al marito di partecipare al Compleanno in famiglia. Quando le conversazioni perdevano slancio Zia Fran si accendeva come se si fosse accorta all'ultimo momento della mancanza di Frederick, il marito di Alex, il terzo marito, come sottolineava Zia Fran spostando gli occhi altrove per nascondere un sottinteso fin troppo evidente che avrebbe potuto offendere la sua fragile e indecisa nipotina. Nipotina quarantenne, va detto, nipotina che aveva sviluppato nel tempo una capacità di sopportazione che aveva dell'innaturale, e questo dimostrava oltre ogni dubbio l'esistenza di una capacità d'amare fondata sul masochismo. Roland tornò a sedersi e venne aggredito dal dubbio di non aver chiuso bene il cassetto quando stava posizionando il tovagliolo sulle ginocchia, azione che avrebbe imposto una tregua all'atteggiamento litigioso di suo padre nei suoi confronti, un colpo di compostezza e decoro potevano tenere a bada la premura educativa del genitore ossessivo per una decina di minuti. Roland fece attenzione a tenere i gomiti aderenti al busto e lontani dalla superficie del tavolo, pensò al disegno che spuntava dal bordo del cassetto dimenticato mezzo aperto, raddrizzò per bene la schiena, immaginò il foglio dondolare nell'aria in caduta libera, cercò di ascoltare il dialogo fra Zia Fran e Alex, si diede dello stupido promettendo che avrebbe resistito, si sarebbe impedito di cedere a pulsioni paranoidi, e per riuscirci controllò che il padre fosse soddisfatto dei suoi modi, che fissasse i resti dell'arrosto nel piatto, contrariato dal non avere motivi di rimprovero.

- Ma dov'è esattamente? - Chiese Zia Fran, come se non le bastasse sapere che si trovava a Chicago, nel loro appartamento, sì, l'ultimo, quello affittato da sei mesi a un canone d'affitto che Zia Fran aveva poco prima giudicato irragionevole e degno di una denuncia penale per estorsione alla brava gente, e dicendo brava gente Zia Fran aveva indicato per prima se stessa, per poi esagerare un gesto magnanimo a voler includere tutti gli invitati nella categoria della brava gente. Roland trovava divertente il tono indagatorio che col quale Zia Fran cercava di mettere in soggezione qualunque interlocutore. Anche la domanda più innocua, nella bocca di Zia Fran diventava un invito nel più profondo degli inferni.

- Cosa intendi con 'esattamente'? - Chiese Alex, senza smettere di piluccare le carote a listarelle e le patate a cubetti del contorno. - Potrebbe essere sul divano, immagino. -, rise Alex, e Roland capì che fra le due c'era in gioco qualcosa di più importante di un battibecco. Fu qualcosa nel tono di voce di Alex, nel cambio rapido della luce negli occhi di Zia Fran. Il confronto fra le due signore andava al di là di un divergenza di opinioni, era più profondo di un cortese detestarsi, Zia Fran arrossì per lo sforzo di non ribattere piccata, come sapeva fare al di fuori delle occasioni mondane, quando restavi invischiato in una conversazione privata con lei che sferruzza all'uncinetto e con tono mieloso ti fa chiudere lo stomaco, ti fa venir voglia di urlare e spaccare le cose.

Alex si accorse di aver esagerato come ci si accorge di aver investito un animale con la macchina, come quando ti arriva un avviso di mancato pagamento e prima di arrabbiarti controlli di aver effettivamente saldato in tempo la fattura. Alex sposta lo sguardo sugli altri commensali che uno per uno scoprono di avere sete, di avere qualcosa da dire al vicino, di dover pulire gli occhiali. - Ci teneva tanto a venire, te l'ho detto -, cede Alex, in nome della pace familiare, - Ti manda i suoi auguri personali, ha detto questo bacio è solo per Zia Fran, mi raccomando -, Alex si sporge a baciare la guancia bollente di Zia Fran, - Mi ha chiesto di scattare parecchie foto, così che al mio ritorno abbia qualcosa da mostrargli che lo faccia sentire meglio. -

L'emergenza per il momento era rientrata, nessuno avrebbe litigato, almeno per un po'. Ronald guardò le lancette della pendola in mezzo alle due ampie finestre del soggiorno e trasse un sospiro, gesto che suo padre non si lasciò scappare. - Sei stanco? -, chiese subito, - Sei stufo? - Non ci si annoia durante le occasioni sociali, non ci si estranea, non si mostra insofferenza o noia. -No, papà, forse ho esagerato un po' col cibo, tutto qua. - Il padre annuì, le labbra tese in una smorfia che Ronald non sapeva associare a una parola, ma che il Cacciatore avrebbe definito sardonica. Chissà se quella notte sarebbe stato accolto al Crocevia, non aveva compreso l'algoritmo che garantiva l'accesso ai segreti del codice binario. Un software per computer, un gioco da consolle digitale, così gli piaceva rappresentare il Crocevia, una sorta di mondo virtuale tenuto in vita dalla corrente elettrica pompata nei circuiti elettronici di una server factory. La password però era un problema, Ronald sorrise, l'intera connessione era un problema, non solo la password, si ripromise di buttare lì una domanda al Guercio, era un argomento che lo avrebbe affascinato, oppure no, oppure avrebbe solo alzato le spalle stancamente e tintinnato le unghie sul vetro della caraffa.

- A cosa pensi, che stai ridendo sotto i baffi? - chiese Don, il padre di Ronald.

- Niente papà, pensavo a Zia Fran -, mentì Ronald.

- Cosa ti diverte di Zia Fran? -, col tono amichevole pronto a trasformarsi in tono di rimprovero.

- Il fatto che lei Frederick non lo sopporta, ecco, cioè, almeno sembrava così l'altra volta, ti ricordi? -

Don si pulì gli angoli della bocca, prima il destro e poi il sinistro, lisciò e ripose in grembo il tovagliolo, sollevò il bicchiere e lo portò alla bocca senza sporgersi in avanti. Tradotto in parole: discorso chiuso.

- Ti voglio dire la verità -, bisbigliò Alex nel modo in cui si bisbiglia quando si vuole che tutti si mettano in ascolto e sentano ogni sillaba in modo distinto – Mi sto accorgendo di essere contenta che non ci sia, che non sia venuto, che sia rimasto a casa. -

Zia Fran fu obbligata a ridere in compagnia, a ingoiare il rospo, a perseverare nella parte che si era scelta sul palcoscenico che Ronald sentiva di calpestare ancor prima di nascere, le assi impregnate di sentimenti negati, violentati, censurati, torturati, esaltati, la coreografia fatta non di quinte ma da bastioni difensivi, e la recitazione avviene dentro a una tempesta di finzioni. La Capa si piazzerebbe nel mezzo a passare la pomice sul filo di una mannaia, è l'unico modo che ha di affrontare quello che non capisce, ma spesso è anche l'unico che funziona.

Zia Fran godeva del suo ruolo di ospite e padrona di casa, di ultimo capostipite vivente di una famiglia di brava gente, la sana e orgogliosa borghesia media, il senso di beatitudine che deriva dall'inserimento in società, la disciplina che implica salutare i vicini, separare l'immondizia cartacea dall'immondizia vetrosa, la possibilità di affermare pubblicamente che si è brava gente beneducata, al riparo da qualsivoglia possibile o immaginabile critica negativa. Zia Fran si alzò in piedi, batté le mani, emise un gridolino e urlò: - Adesso è arrivato il momento del dessert! - Al che esplose un applauso e Don improvvisò l'esclamazione di giubilo del cowboy – Yahuu -, roteando il braccio come se stesse manovrando un lazo, lui che il West lo aveva visto solo in tv, e con l'altra mano allungò una pacca al figlio, incitando Ronald a esprimere un po' più di cortese e affabile entusiasmo.

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