mercoledì 16 marzo 2011

Kamikaze.

Sono di quelli che hanno alzato la mano, siamo in cinquanta. Siamo quelli che avranno i loro nomi incisi su un monumento commemorativo, ci sarà scritto Qui si ricorda il coraggio e il sacrificio, qualcosa del genere, e si porteranno i bambini in visita, le maestre diranno ecco i nomi dei kamikaze. Forse diranno eroi, ma io direi kamikaze, perché è così che mi sento, come quel vostro uomo-dio che non scappa di fronte alla morte e lo inchiodano a un albero, certo che siete grezzi, senza offesa, voi occidentali, siete brutali, indisciplinati e irrispettosi, siete dei barbari. Chi di voi avrebbe alzato la mano? Avete ancora uomini-dio fra di voi? Ne parlavo con Hiroshi, il mio collega di turno, e lui ha riso, come ride lui, cacciando fuori l'aria come se tossisse, ha detto che voi sareste scappati urlando, puntandovi il dito addosso a vicenda. Ho riso con lui, non avevo voglia di contraddirlo, ma quello che ho pensato è che voi non avreste scelto per alzata di mano, avreste avuto qualche uomo-dio pronto a immolarsi senza che nessuno debba chiedere. Il kamikaze lo fa per sé, l'uomo-dio lo fa per gli altri. Non so se vale per tutti, ma vale per me, Shiro Tagaki, che ha perso la casa, la macchina, la moglie, il figlio, tutto quel che mi rimane è l'orgoglio dell'aver alzato la mano, di aver risposto alla chiamata del dovere, alla richiesta dell'autorità. Ho pensato alla discarica di macerie che è il quartiere dove sono nato e cresciuto, alla scuola che ho frequentato, non ho un posto a cui tornare, mi sono detto, e la mia mano s'è alzata da sola.

Siamo in cinquanta, facciamo turni che durano pochi minuti, per via delle radiazioni. Percepisco la solitudine e l'abbandono come chi sa per certo di non avere accesso alla radio, alla tv, ai giornali, al flusso di informazioni che ti rende uno dei tanti, un membro di un gruppo che condivide lo stesso presente. Ho detto a Hiroshi, mentre controllavamo la pressione, pronti a ridurla aprendo le valvole, gli ho detto Lo sai che non c'è nessuno oltre a noi? Hiroshi ha annuito, ha dato un colpetto col dito a un manometro secondario, ha cambiato discorso prendendosela col tempo, maledicendo la pioggia. Ho detto Non c'è essere umano nel raggio di decine di chilometri. Hiroshi non ha detto niente e dopo un po' abbiamo sentito tremare il pavimento sotto i piedi, abbiamo aspettato che passasse, Hiroshi ha dato di nuovo un colpetto al manometro col dito e si è voltato a sorridermi, e io ho ricambiato la cortesia. Per lavorare qui ho dovuto dimostrare di essere il migliore, più di una volta, e adesso a cosa mi serve sapere tutto quello che c'è da sapere, posso solo essere più informato di chiunque altro, senza che io possa sfruttare il privilegio della conoscenza a vantaggio mio o di chiunque altro. Il potere dell'informazione, quante volte l'ho ripetuto nelle lezioni che ho tenuto a giovani motivati e preparati quanto e più lo sono stato io alla loro età. Adesso a cosa mi serve l'informazione? A alzare una mano quando cercano i kamikaze, gesto che un qualsiasi uomo-dio occidentale potrebbe fare anche senza saperne niente, senza avere altra informazione che il pericolo di morte e la necessità di sacrificio.

L'enorme sapere necessario a costruire la centrale ora si riduce a questo: apri la valvola quando la lancetta arriva sul rosso. Spara nel cielo il vapore radioattivo e torna a combattere il calore residuo nelle barre. Aiuto Hiroshi a indossare al tuta. Lui aiuta me. Camminiamo a testa né alta né bassa, senza la dignità del guerriero né la rassegnazione del condannato. Camminiamo come al solito, infiliamo le tessere magnetiche per abitudine, dimenticando che hanno tolto la corrente dove non è necessaria. Sopra certe temperature l'acqua non si accontenta di vaporizzare, si scinde in idrogeno e ossigeno e basta una scintilla all'idrogeno per esplodere. La tessera è la stessa che segnala eventuali contaminazioni. Stando al colore del materiale reagente inserito nella mia tessera d'identificazione io non dovrei essere qui, dovrei essere in qualche luogo di villeggiatura a godermi la pensione d'invalidità, il risarcimento per danni biologici, con in tasca una lettera di scuse vergata a mano dell'Imperatore. Anche quella di Hiroshi è diventata rossa, anche Hiroshi ha perso tutto, ma non a causa del terremoto e dello tsunami, aveva perso tutto già da prima, non ha più niente da perdere da quando lo conosco, e siamo colleghi da vent'anni. Hiroshi mi ha afferrato il braccio per impedirmi di alzare la mano e mi ha mollato solo dopo avermi guardato negli occhi, mi ha fatto un inchino e ha a sua volta alzato la mano. Vecchio Hiroshi, il solito carattere scontroso, guardando chi andava via senza salutare, pieno di vergogna, mi ha detto Quando avremo finito qualcuno di quelli che non hanno alzato la mano dirà che non era così pericoloso come sembrava.

Stamattina siamo usciti a controllare la struttura esterna e ho notato l'elicottero. Da bambino mi piaceva salutare gli elicotteri, ero convinto che il pilota rispondesse, che certi scarti improvvisi indicassero la replica al messaggio ricevuto. Ho controllato che Hiroshi fosse distratto e ho salutato l'elicottero. Mi è sembrato che si fermasse, puntato verso di me, e abbassasse il muso, per guardarmi meglio. Hiroshi ha detto qualcosa e mi sono avvicinato chiedendogli a voce alta di ripetere ma lui non ha ripetuto, ha solo indicato l'origine del fumo scuro, un buco nel muro largo poco più di un metro. Ho detto Non mi viene in mente una soluzione. Hiroshi ha scosso la testa dentro alla tuta e ha detto altre parole che non suono riuscito a cogliere. Quando siamo rientrati abbiamo fatto rapporto e abbiamo aspettato di sentirci dire se dobbiamo continuare e se verremo evacuati. A ogni fine turno aggiorniamo i dati e i capi decidono se dobbiamo insistere o se morirci sopra non porterà comunque a nulla. Però ce lo chiedono, per correttezza, ci chiedono Qualcuno di voi chiede di abbandonare la posizione? Nessuno fiata, nessuno vuole gettare disonore su di sé e sulla propria famiglia, nessuno ignora il rosso, per alcuni virante al purpureo, della tessera ben visibile, esposta come una medaglia nell'apposito scomparto della tuta. Non ci si tira indietro, non c'è più tempo di ripensarci, comunque vada noi ci saremo stati, avremo fatto la nostra parte, per qualcuno saremo quelli che tanto ormai non avevano più niente da perdere, per altri saremo quelli che salutavano gli elicotteri di nascosto e hanno cercato di proteggere il mondo facendo scudo con il proprio corpo.


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