venerdì 18 marzo 2011

Il lavoro di mio papà.

Il lavoro del mio papà lo so perché ci sono andato. Ieri. C'è un giorno ogni mese che io posso andare col mio papà al lavoro e stiamo insieme mentre lui lavora e io lo guardo che lavora. Come ieri, si chiama il giorno del vai al lavoro col tuo papà, me l'ha detto la maestra come si chiama perché io non lo sapevo, io non sapevo nemmeno che certi giorni avessero un nome. Ieri infatti era il primo giorno di lavoro del mese, è quello il giorno del vai al lavoro con il tuo papà, infatti ieri io ci sono andato per la prima volta perché devi essere abbastanza grande o non ti fanno entrare. Adesso sono un bambino grande e ci posso andare a vai al lavoro con il tuo papà, finalmente. Non è divertente come pensavo ma si imparano un sacco di cose. Lo sapevo che il lavoro non poteva essere divertente, come un gioco per esempio, ma il lavoro del mio papà secondo me è uno dei meno divertenti di tutti. Ho imparato il bottone che si schiaccia per accendere l'ecuazzatore, ho fatto girare la monopola grossa fino a quando abbiamo dovuto tapparci le orecchie con le mani, ho ripetuto nel microfono le frasi che diceva il mio papà e le abbiamo inserite in fondo alla musica fino a farle sparire. Le abbiamo mandate sotto la superficie, ha detto il mio papà, e mi ha spettinato anche se lo sa che non voglio, che mi viene il nervoso se mi sento di essere spettinato.

Il lavoro del mio papà è brutto e non mi diverte per niente, però è complicato e ogni tanto, se lo si fa nel modo sbagliato, potrebbe anche piacermi. Quando si sono chiuse le porte mi sono sentito male, lo ammetto, ma poi mi sono abituato. È tutta questione di abituarsi, ha detto il mio papà, e aveva ragione, dopo un po' non mi sembrava più di stare chiuso dentro una scatola, non avevo più paura di venire stritolato dentro al pugno delle pareti. Hanno messo uno sgabello per me di fianco alla sedia di papà e per fortuna mi sono portato da casa il gamerz sennò sai che noia, tutto il tempo a schiacciare bottoni e muovere i cosi, le levette, come li ha chiamati papà non me lo ricordo più. I cursori! Sì, e mappare le tracce anche, me lo ricordo mappare le tracce perché mi ha ricordato l'immagine che ho visto una volta, che facevano una rete di fili sospesa sopra a un'impronta antica, e facevano delle foto per ricostruire la zampa del dinosauro. Quando l'ho raccontato a papà lui ha detto che fa esattamente la stessa cosa, esattamente quella, solo che lui l'impronta non la porta alla luce ma la fa sparire. Non ho capito perché l'ha detto come se gli dispiaceva di farla, forse a tutto dispiace finire un lavoro, penso che gli era venuta la nostalgia per tutte le tracce che ha mappato in tutti questi anni, come quando io guardo i giocattoli che ho usato da piccolo.

A un certo punto abbiamo fatto una pausa per mangiare, poi io mi sono addormentato perché papà non ha voluto lasciarmi bere anch'io le pillole che beve lui per restare sveglio a finire il turno di lavoro. Poi mi sono svegliato e abbiamo lavorato ancora molte ore prima di tornare a casa. Il mio papà ha la barba nera e in certi punti bianca, gli occhi verdi diventano scuri intorno e sembra che ha una maschera o che si è truccato. A un certo punto, dopo che lo guardavo da parecchi minuti, gli ho detto papà hai la barba lunga e sembri truccato e lui si è spaventato, si è accorto che ci sono anch'io come se il lavoro lo ha fatto dimenticare di me, o forse è che sono stato troppo in silenzio e senza muovermi, però ha riso, ha detto hai ragione, mi ha preso in braccio e mi ha fatto gridare dentro al microfono. Mi ha detto grida più forte che puoi , tanto non ci sente nessuno, la stanza e isonizzata, ma io non sapevo cosa gridare. Papà mi ha detto grida aiuto, grida elpmi, e abbiamo osservato le mille punte della mia voce sullo schermo del computer. Perfetto, mi ha detto papà, e ha iniziato a modellare le punte con le dita, a mappare la mia traccia, a nascondere le mie impronte con le sue, e dopo un po' mi sono stufato di guardare, mi sono stancato di risentire le mie grida sempre più retroficate fino a diventare un fastidio da mandare sventolando una mano.

Io da grande l'ho già detto al mio papà che non voglio lavorare per il ministero, che non voglio fare il suo lavoro di sforzo bellico. Lui dice che allora non sono un patriota, che non contribuisco al bene comune, che non lotto per il mio popolo. A me piacciono i gamerz, da grande inventerò dei game per il gamerz, ecco cosa voglio fare di lavoro. Quando lo dico mia mamma ride, mio padre diventa di cattivo umore. Ieri mi faceva ascoltare i prodotti finiti, mi diceva ascolta questo prodotto finito e partiva una musichetta un po' da gamerz ma più lenta, e poi papà mi chiedeva se avevo sentito qualcosa di strano. No papà. Perfetto, è così che deve essere, l'orecchio lo sente senza che te ne rendi conto. Non senti il bisogno di venire a vivere nel nostro glorioso paese? Papà, io ci vivo già. Certe volte non lo capisco proprio mio papà. In questo ci ho messo la tua voce, mi ha detto ieri papà, quando dici voi vivete in una dittatura, il vostro governo è contro di voi, ma io non sentivo la mia voce né niente, solo la musichetta che vendiamo al nemico, non so se era vero o se faceva uno dei suoi scherzi che fanno ridere solo lui. Papà mi dispiace ma io sento solo una musichetta che si ripete e ripete e ripete. Il mio papà ha annuito, molto soddisfatto, mi chiedo in quale ascensore nemico finirà quella che ci ha seppellito dentro l'impronta dove grido aiuto elpmi.

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