mercoledì 17 febbraio 2010

Alla scuola dei preti (1*N)

(disclaimer: contiene linguaggio scurrile e altre cose che potrebbero infastidire)

Alla scuola dei preti si entrava da un portone accanto alla chiesa e non si mancava di guardare il rosone e pensare ai colori in cui si sarebbe divisa la luce del sole passando attraverso i vetri colorati. A una certa ora la faccia di Gesù diventava blu.
Il violento preside M ti pizzicava la pelle del collo, sotto le orecchie. Ho visto molti studenti presi per la pelle del collo davanti all'ufficio del preside violento M, e se gridavi per il dolore era peggio, così mi han raccontato i testimoni, aumentava la stretta. L'ufficio del violento preside M dominava l'atrio del primo piano, salivi la scalinata e te lo trovavi di fronte, l'ufficio e anche il preside, in piedi davanti alla porta spalancata dell'ufficio con le mani infilate su per le maniche, come quei film in cui nascondono i pugnali.
Si passava tutti a testa bassa o guardando altrove, si passava davanti al preside violento M per andare in classe e ci si sentiva presi di mira. Quando è morto moltissima gente ha espresso dispiacere ma io no, non ho provato niente quando ho saputo che era morto, solo un vago senso di sollievo. Forse perché non mi ha mai strizzato la pelle del collo.
Dopo di lui il posto venne occupato dal forforoso preside non mi ricordo nemmeno più come si chiamava. Era convinto che i ragazzi fossero buoni, che meritassero sempre un'altra opportunità. Povero ingenuo. Aveva tanta forfora sulle spalle da far pensare a una malattia contagiosa. Morto anche lui l'anno dopo che lasciai la scuola. Si è infilato a tutta velocità sotto il culo di un camion in autostrada, dicono che tornasse da un incontro segreto con un'amante. Son cose che vengo a sapere senza volerlo, i pettegolezzi si respirano con l'aria.
Superato l'ormai caro estinto cerbero calvo, vestito di nero, occhialini con la montatura di metallo su occhietti azzurri strizzati in fessure, si entrava in un corridoio con tutte le foto appese al muro. Foto che risalivano a tempi antichi, foto in bianco e nero, foto color seppia, foto ingiallite, e man mano foto a colori. Se mi cercate sono l'unico studente con gli occhiali scuri nell'unica foto in cui c'è uno studente con gli occhiali scuri. Finsi di soffrire di fotofobia, finsero di crederci.
La mia classe era quella più scalcagnata, quella dei ripetenti, dei coglioni, dei malati mentali. Disadattati, epilettici, viziati, nobili decaduti, aspiranti ninfomani, sociopatici, istrionici, perdenti cronici. Sezione C, ci fosse stata una D saremmo finiti in quella. C'erano anche persone intelligenti ma solo perché nella B non c'era più posto. A pensarci bene era un gran vantaggio: per dare la sufficienza a G o M o tanti altri psicolabili, dovevano dare bei voti a chi nella sezione A rischiava la bocciatura.
A me piaceva molto andare alla scuola dei preti. Nella nostra classe per andare in bagno non dovevi nemmeno uscire, il bagno era dentro la classe ma non potevi usarlo se c'era un professore, ti mandava fuori, ma potevi usarlo per fumarti una sigaretta e parlare di donne nude fra una lezione e l'altra. Le donne nude era l'argomento preferito del principe L. Mi interrogava per sapere i miei traguardi sessuali e io mentivo, dicevo di aver fatto di tutto anche se non avevo mai fatto niente, tranne baciare una ragazza a una festa di capodanno, una ragazza ubriaca che non riusciva più a tenere gli occhi aperti e puzzava di vomito.
Il principe L invece ci dava dentro, mi raccontava di una cavità della pelle a forma di triangolo che le donne hanno alla base della schiena, una specie di fossetta sopra le chiappe. Ne andava matto, non faceva che raccontarmi di quel pezzo specifico del corpo femminile. Poi mi chiedeva cose sconce tipo il sapore delle cose e io inventavo le risposte, dicevo sa di arrosto il giorno dopo, di muschio sotto un sasso, di carogna che secca al sole sotto un albero di limone. E lui annuiva serio e mi guardava con grande rispetto. Tiravo dalla sigaretta fingendomi perso nel ricordo dei sapori, lui pure tirava sognando forse triangoli di pelle, e stavamo così in silenzio aspettando il suono della campanella.
Decidevo io chi entrava nel bagno della classe perché... non lo so, è così che andava. Forse ho picchiato qualcuno o l'ho solo minacciato a vanvera di una morte orribile. Forse era semplicemente una legge di natura, era scritto da qualche parte nell'immaginario collettivo che quel bagno fosse mio più di chiunque altro. Era mio anche quello in fondo al corridoio, adesso che ci penso. Se qualcuno non mi andava a genio in un modo o nell'altro smetteva di entrarci. Devo essere stato un gran bastardo senza mai essermene accorto.

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