mercoledì 17 febbraio 2010

Alla scuola dei preti (2*N)

Qualcuno potrebbe andare nel panico, mettersi lì a fare una cernita del passato alla ricerca di qualcosa che potrei dire sul suo conto. Niente paura, non ci sono nomi e la mia memoria è così flebile che gran parte dei ricordi sono certo inventati. Come quella volta che il lobotomizzato G si fece tutto addosso dal ridere, e quando dico tutto intendo tutto. O l'abitudine del pluricannato A di spingere il banco sotto la cattedra per sbirciare le mutande della sensuale professoressa C, che teneva le gambe accavallate strette e sorrideva di compiaciuta riconoscenza sbattendo le ciglia.
La volta che il laido prof di ginnastica F scoprì che le giustificazioni me le facevo da solo e propose di bocciarmi. Ricordati bene, mi disse in seguito il saggio prof di filosofia S, che la promozione la devi a me, ti volevano tutti morto al consiglio di classe. Lo disse come se fosse una cosa normale, come se fosse consapevole che da qualche parte dentro di me ci doveva pur essere qualcosa in grado di capire un giorno l'importanza dell'evento. Mi sono sempre chiesto se fosse un omosessuale represso.
Poi c'era la perfida professoressa G, che un giorno le morì il figlio in un incidente in moto e divenne ancora più perfida. Era convinta di essere giusta, ma a modo suo, e anche buona pensava di essere. Quando mio padre era appena morto mi chiese perché ero venuto a scuola lo stesso al posto di stare a casa e io ancora adesso penso che sia la domanda più stupida che mi sia mai stata fatta. Avevo una così scarsa considerazione di lei da non riuscire a scrivere un tema decente da sottoporre al suo giudizio. Mi veniva solo da scrivere cose stupide sapendo che poi le avrebbe lette lei.
Chi altro c'era? Il sensibile prof di disegno E, che aveva formato una specie di cricca con G e P e F T e ogni tanto si sentivano delle risate perché parlottavano fra di loro e il prof si lasciava coinvolgere, qualcuno parlerebbe di amicizia ma quando si era al bar capivi lo scopo del gioco. Oltre all'amicizia c'era il farsi degli alleati fra i potenti, ottenere un aggancio, che al bar poi sentivi dire il prof è un pezzo di pane, il prof se c'è bisogno ti dà una mano, se vedi un prof ed è lui puoi stare tranquillo non ti succede niente. Così io mi convincevo sempre di più che a volte se sei buono finisci scoglionato e preso per il culo.
Anche fra i prof c'era dell'attrito, della competizione. Il sensibile E reputava uno scemo il saggio S, che a sua volta riteneva troppo semplici tutti gli altri tranne l'isterica I, matematica. Il laido F era troppo impegnato a studiare lo sport e nuovi metodi efficaci per sudare da preoccuparsi di altro che ritirare lo stipendio a fine mese. La perfida G pensava solo ai libri per distrarsi dal dolore e si aggrappava a qualsiasi forma di compassione velata per esprimere frigida benevolenza. La sensuale C aveva una camminata così particolare che la riconoscevo dal rumore dei tacchi in corridoio e pensava di chiunque tutto il bene possibile, era capace di fare una risata da attricetta al provino ascoltando una battutaccia.
Il fragile prof B, religione, che alla fine si è tolto l'abito talare e adesso è sposato con due figlie. Mi chiese una volta, puntando il dito, se fossi un angelo e si capiva benissimo che intendeva caduto, un diavolo venuto a portargli via la fede. Quella volta ho avuto davvero paura. Mi è venuta paura guardando le facce dei miei compagni di classe, rivolte verso di me in attesa di una risposta diversa da 'no'. Temevo di iniziare a parlare aramaico e vomitare piselli. Lui rimase deluso, uscì dalla classe e io lo seguii. Ero sconvolto, dicevo prof rimanga, esco io. Davvero, resti in classe, me ne vado io. Pensai a Gesù con la faccia blu e dissi 'padre, se può, mi perdoni'.
La sadica prof di inglese. Sadica la prima e anche quella che venne dopo. Convinta che la sua materia fosse la più importante di tutte. Che non si potesse vivere senza conoscere l'inglese, i poeti inglesi, i drammaturghi inglesi, i romanzieri inglesi. Sherlock holmes amleto james joice. I modi di dire, gli accenti. Piaceva molto al mio compagno di banco S, che teneva quadernoni perfetti, ogni lettera dentro a un quadrato, pennarelli di diversi colori, evidenziatori, note a matita. Una volta abbiamo litigato e gliene ho strappato uno davanti alla faccia, pagina per pagina. Lui è diventato bianco, poi rosso, e mi ha dato un pugno nello stomaco.
La leziosa R, migliore amica della sfiziosa L. La prima che indossava sempre maglioni lunghi fino al ginocchio per coprire un sedere che sentiva troppo grosso, l'altra che indossava lana d'angora rosa e pareva nata dalla matita di un fumettista giapponese depresso. Un giorno portai a scuola un romanzo erotico e lo diedi loro da leggere. Prima fecero le schifate, poi le smorfiose, poi le scandalizzate, poi le offese. Il giorno dopo lo rilessero e ridacchiarono fra loro. Quel giorno per le ultime due ore furono molto silenziose e non ebbero bisogno di truccarsi le guance.

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