mercoledì 17 febbraio 2010

La grande sfida [1/N]

Si erano radunati intorno al tavolino per la grande sfida. H stringeva nel pugno il blocco di plastica ormai opaca e poco trasparente, la superficie corrosa dal sudore che anche adesso gli inondava i palmi, con imprigionata dentro una mantide dorata, il pezzo del gioco che gli fece vincere la sfida all'età di dodici anni. L'altra mano era sulla spalla del nipote K, seduto al tavolino, la faccia corrucciata di chi soffre di un grave attacco di costipazione. Ce la puoi fare, ripeteva F, sottolineando l'incoraggiamento con piccoli massaggi e pacche delicate. K annuiva, e contava qualcosa facendo ticchettare le unghie sul bordo del tavolino.
C'erano quasi tutti, la sfida stava per cominciare. Mancava solo l'anziana F, i cui centrini addobbavano i più famosi comodini del paese, maestra di tombolo e ricamo ambidestro, che aveva fatto pervenire un biglietto di scuse. 'Impossibilitata mi scuso e chiedo gentilmente continui ragguagli, critiche et aggiornamenti al caro professor T” Il biglietto venne letto a voce alta dall'arbitro Z che prima lo lesse in silenzio e lo imparò a memoria per poterlo recitare senza far uso delle mezzelune che lo facevano somigliare a uno spelacchiato gufo del malaugurio, a sentire sua moglie, l'acida mercante di crisantemi, margheritone e orchidee che gestiva il monopolio del cimitero inviando gente da fuori a distruggere nottetempo le bancarelle dei concorrenti.
L'arbitro Z lo lesse come una sentenza e molti dei presenti si tolsero il cappello. Il professor T si disse onorato e attirò bruscamente accanto a sé perché potesse ascoltare, scrivere e riferire il giovane R, latore del biglietto, che aveva corso fin lì per due monete, abbandonando un eccitante programma di ozio e masturbazione, solo in quanto incapace di negare qualcosa alla nonna.
C'era H, col suo premio a sbiancargli le nocche. K in preda alla più cupa delle ansie da prestazione. T pronto a dettare al giovane R la cronaca in diretta della grande sfida. L'arbitro Z che faceva su e giù col braccio er mettere e togliere gli occhiali gufagni. C'era R, il giovane e sudato R, che vedeva sfumare i suoi progetti in cambio di faticosi andirivieni tra il parco dove si teneva per tradizione la grande sfida e la casa della nonna, la grande assente F. C'era D con ancora gli stivali sporchi di merda, che arrivava dritto dalle stalle e ci sarebbe tornato prima della fine senza sapere il risultato della grande sfida, richiamato al dovere da insistenti e dolorosi muggiti. C'erano S e Q, c'erano i fratelli M con tutto il parentado, le siamesi per scelta V coi capelli uniti in una sola treccia comune, c'erano tutti, compreso P che non usciva mai di casa perché, diceva, gli dava fastidio sentire le pause, tanto che si metteva a minacciare col bastone e a urlare contro chi sbagliava la punteggiatura o parlava troppo in fretta.
Mancava solo lo sfidante Y, che se la stava prendendo comoda, appoggiato a un tronco distante una cinquantina di passi fingeva disinteresse, guardava verso l'ingresso come se aspettasse qualcuno ma chi doveva esserci già era lì, letto il messaggio dell'impossibilitata non mancava più nessuno. Aspettò fino all'ultimo, quando partirono le campane registrate della chiesa di riferimento, suonando la marcia di Schubert a tutto volume. Il prete C annuì convinto, controllando l'orologio da tasca che aveva contrabbandato dalla svizzera quando lavorava come manovale per la ditta W&O, nascondendolo nella bambola di sua nipote e dicendole qualsiasi cosa accada, non ti fermare.
Lo sfidante si avviò con passo sicuro fra le ali degli spettatori, si sedette pesantemente sulla seggiola e fece la sua prima mossa senza la decenza di una stretta di mano, di un augurio balbettato, di un inchino formale. H sobbalzò e strinse forte la spalle del nipote K. Il professor T bisbigliò rapido nell'orecchio del giovane R, che partì di corsa a riferire alla nonna. Il prete C prese il fazzoletto e si tamponò la fronte. L'arbitro Z si portò due volte gli occhiali sul naso, sincerandosi di aver memorizzato correttamente la mossa. Le siamesi per scelta V si sporsero così in avanti per vedere meglio e arrossirono quando il loro profumo parve solidificarsi attorno allo sfidante.

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