lunedì 10 maggio 2010

Alla scuola dei preti (intermezzo 3*N)

Era il periodo dei paninari. Bisogna capire il contesto, c'era Drive In alla televisione. La televisione. Gran parte della mia vita non c'è stata. Ho più ricordi di televisione che di esperienze. Le esperienze erano qualcosa tra ore di televisione. Non solo io, tutti i miei coetanei. Abbiamo in comune gli stessi cartoni animati, Bim Bum Bam, Super Super Gulp. Abbiamo in comune i telefilm, i video musicali. Ciò che ci faceva e che ci fa sentire uguali era ed è la televisione, nient'altro. Ci accusano di ignorare volutamente la storia, i valori, le opinioni. Non so quant'è voluto, noi quando non stavamo davanti alla tv allora parlavamo di tv, ripetevamo parole sentite in tv, cantavamo canzoni passate in tv, litigavamo sulla tv.

Quelli delle generazioni precedenti non capiscono cosa significhi, pensano che siamo come loro e che la tv si aggiunga al resto senza sostituire niente. Invece no. Come adesso con i computer, con internet e i videogiochi. Son vecchio ma li capisco molto di più di quanto i nostri vecchi capissero noi. E sono contento per loro, la mia generazione è la più sfigata di tutte, avevamo solo la televisione. La guerra fredda e tangentopoli, l'inverno nucleare e le brigate rosse, le crisi petrolifere e la mafia. La televisione mostrava un mondo in cui fuggire per sentirsi bene. E ci vestivamo da paninari. Chi non aveva abbastanza soldi per vestirsi da paninaro ti puntava un coltello e ti rubava le scarpe.

Adesso è uguale, ma avete il computer, beati voi. Avete ancora gli stessi giornalisti che avevamo noi, la stessa gente in tv, la stessa gente in politica. Avete gli stessi cantanti, gli stessi scrittori, gli stessi attori. La generazione che viene prima della mia è ancora in sala di controllo, ride della mia generazione ma non riderà della vostra perché si vede quanto gli fate paura coi vostri computer che noi non avevamo. Noi avevamo la tv a bassa, bassissima definizione e il walkman, con le cassette a nastro, una striscia di plastica che si rompeva, si inceppava, suono di pessima qualità, che usciva a metri e dovevi metterci un pezzo di scotch e con la matita cercare di farlo rientrare con delicatezza e circospezione dentro all'involucro.

Se non tenete presente questo, che c'era solo la tv, massima espressione di comunicazione a senso unico, non potete capire perché si finiva a bigiare in paninoteca o a fumare nei bagni. Cos'altro potevi fare? Scrivere lettere ai giornali come quei tizi paranoici che nei libri e nei film non si rassegnano all'idea che cambiare il mondo sia possibile utilizzando le regole di un sistema chiuso e blindato dall'interno? Internet fa paura, se vi sembra strano pensate un momento a noi, con le nostre belle Timberland ai piedi che andiamo a guardare Rambo al cinema. Parlo di cinema con sedie di legno, schermi che oggi sono quelli di una grande televisione ultrapiatta, senza impianto stereo a ottanta canali multisurround, senza nemmeno impianto antincendio se è per quello.

Il discorso finale di Rambo. La roba buona veniva tutta dagli Usa. I nostri film facevano cagare, erano roba tipo carletto spia la maestra che fa la doccia e scoreggia in sala mensa. Ecco, cominciate a farvi un'idea di cosa significasse essere teenager negli anni '80? Flashdance, Dallas e Dinasty, Saranno Famosi. Terminator, Rocky. Michael Jackson e Madonna. Stephen King. Raffaella Carrà, Mike Bongiorno, Pippo Baudo. Don Lurio, potrei andare avanti all'infinito. Abbiamo la testa piena di star, di pubblicità, di vip, di sceneggiature mediocri. La scienza era l'unica cosa che non era andata a male, tutto il resto, specialmente se limitato all'Italia, serviva solo a prendere la sufficienza a scuola. Roba per vecchi, roba morta e sepolta che non aveva più niente da dire.

Poi c'erano quelli che si davano al calcio o alla politica. Andavano allo stadio, andavano alle manifestazioni. Allo stesso modo, con lo stesso spirito con cui si va in discoteca o a un concerto. La stessa differenza che passa tra il crederci davvero e il pensare di crederci. È l'effetto tv. E intanto si cresceva, si diventava adulti. Ma non si era mai abbastanza adulti per i nostri vecchi. Ancora adesso, a 40 anni, sono considerato un ragazzo. La mia generazione non ha mai avuto il diritto di essere adulta. Aspetti i 20 anni per essere trattato da uomo e ti accorgi che nel frattempo per essere uomo devi averne 40. Arrivi a 40 e devi averne 60. E intanto alcune persone muoiono, sui giornali ogni tanto appaiono titoloni, la vita tua e del mondo intero ti scorre davanti, proprio come alla tv. La mia generazione è su un divano che guarda la tv da quando è nata e morirà davanti alla tv.

Per cui non ridete troppo forte quando vi racconterò altre cose della scuola dei preti. Abbiate pietà. Quanta ne ho io di quelli con 10 o 20 anni meno di me che sono conciati anche peggio, generazione parlando. Io dovevo andare alle edizioni paoline e subire gli sguardi contrariati delle suore e insistere per avere tra le mani l'ultimo saggio di Hans Kung, voi potete trovarlo on line e scaricarlo sull'ebook reader. Io non potevo dirlo a nessuno che non ero d'accordo con certe teorie storiche o che la logica del marketing secondo me avrebbe prodotto disastri o che non aveva senso perdere mesi di scuola a spiegare cose che possono essere imparate in due settimane, ammesso che valga la pena di impararle. Primo non c'era nessuno che avesse voglia di sentire certi discorsi, secondo non sarebbe servito a niente se non a perdere quei pochi amici che con grande fatica e odio per me stesso ero riuscito a procurarmi al fine di superare l'adolescenza senza finire in manicomio.

Se vivi nella tv ti comporti di conseguenza. Ci sono le risate finte in sottofondo, ci sono le battute e devi recitarle anche se non ti piacciono, ci sono momenti tragici e momenti demenziali. Tra qualche decennio o secolo gli storici daranno un nome a questo periodo storico. Noi crediamo di vivere la stessa epoca che ci ha preceduto, è tipico dei contemporanei il non rendersi conto che gli hanno strappato il tappeto da sotto i piedi, che è tutto diverso in una maniera che non riescono a comprendere perché ci sono dentro, non possono guardarla da fuori. Non possiamo scegliere il programma, siamo come attori che accettano qualsiasi ruolo pur di esserci. A volte ci dimentichiamo che si tratta di recitazione: siamo così bravi, così autentici, così calati nella parte da non riuscire più a smettere. Arrivano e passano i titoli di coda e noi siamo ancora lì in costume a inventarci il sequel.

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