venerdì 21 maggio 2010

La fabbrica dei mostri bellissimi (1 di N)

Ti sei dimenticato di mettere il cappello. È difficile sentire il rumore delle infradito che schiaffeggiano la terra battuta se non approfitti di quel paio d'ore magiche durante le quali alcuni turisti stanno ancora facendo colazione e il resto dei turisti, quelli che Grace chiama i nottambuli sonnambuli, giacciono nei vicoli, nelle stanze a ore, sulla spiaggia, sui copriletti delle loro stanze in stile coloniale. Corpi umani spinti da maree invisibili, da sogni improbabili, da illusioni paradisiache, scagliati sull'isola da ondate irrazionali, rotolano sulla battigia come immondizia giunta dal mare, caduta da una nave di passaggio. Sorridi pensando a Grace, è lei che ti ha insegnato a ricamare sulla realtà, è sul pensiero di lei che ti concentri per riuscirci, tu che ti vanti di saper vedere le cose per come sono davvero. Vedi la spazzatura, i topi i cui avi sono arrivati anch'essi per turismo e hanno finito per appropriarsi di tutto, distruggendo le specie indigene come quegli uccelli che nidificano a terra e non hanno mai dovuto impedire a un topo di mangiarsi le uova. Grace queste cose non le vede, è la sua magia. Tutti giù alla fabbrica possiedono una forma di magia. Trent, che vede nel buio e racconta i colori. Ester che parla da un posto lontano, dove tutto è diverso.

Il sole ti scalda la testa quando sei obbligato a uscire dall'ombra delle case per attraversare un incrocio. Ogni tanto sollevi lo sguardo e controlli dove sei arrivato usando il baobab. Capisci di non essere più un turista quando per orientarti ti affidi al baobab che troneggia nella piazza principale. Tutto su quest'isola ruota attorno al baobab, è un segreto ben custodito, è uno dei pochi stratagemmi che rimangono per distinguere i residenti dai turisti. Cerchi di ricordare com'eri prima, cosa eri prima, quando agitavi la mano per fermare un taxi, la cravatta e la valigetta, quando non potevi fare a meno di controllare l'orologio. È difficile, non riesci più a trovare qualche frase chiave che ripetuta all'infinito possa farti tornare a essere quello che non sei più. Grace riesce a fartelo immaginare, ma nulla di più. Col passare del tempo anche i racconti che ti riguardano vanno perdendo di realismo. Grace, la tua memoria vivente, dà l'impressione di volerti ingannare, di farti credere d'aver vissuto la vita di un altro. Non ti vedi nell'atto di assaporare il profumo dei fiori che qualcuno ha colto per te, spruzzandoli col vaporizzatore prima di metterli nel vaso.

Ti infili la camicia nei bermuda prima di entrare. Alcuni uffici adesso fanno da sede per così tante società che ogni cassetta della posta non riporta meno di cinque nominativi. Ci sono più società che abitanti sull'isola. Hai fatto tante di quelle firme da quando hai accettato questo lavoro che ormai dalla penna esce un segno grafico privo di senso, ogni volta diverso. Nessuno controllerà mai. A nessuno interessa chi sei, il fatto che tu abbia un nome è ininfluente perché non verrai mai chiamato per nome. Oggi farai conchiglie, firme conchigliformi, firmerai tutto quello che ti metteranno davanti e per l'ora di pranzo sarai di ritorno alla fabbrica. Se una fatucchiera ti avesse predetto la fabbrica affermando che saresti stato felice l'avresti presa per matta. Avresti replicato che di felicità ne avevi già fin troppa ignorando che qualsiasi cosa, se uno si sforza, può essere fonte di felicità. Quanto sforzo ti costa essere felice qui e ora, pensando con sollievo al momento in cui vedrai apparire dietro la curva l'ingresso della fabbrica? Poco o molto, non lo sai dire. È un argomento da proporre a Giulan o a Rachel, sei certo che apprezzerebbero l'opportunità di esprimere un parere.

Il responsabile dell'ufficio si alza per stringerti la mano. È un bravo ragazzo, ha rifiutato l'offerta di essere trasferito per restare vicino alla famiglia e non c'è giorno in cui non se ne penta e se ne lamenti a voce alta. È uno di quelli che dalla fabbrica rimane lontano, che non sopporta le emozioni che se ne ricavano. Sono troppo, sono troppe, così ha detto l'unica volta che si confidato con te, che ti ha chiesto consiglio. Proprio a te, che l'unico consiglio che sai dare è il silenzio, non comunichi neanche con lo sguardo, usi sempre lo stesso tono di voce. La gente che chiede consigli e non li vuole ascoltare ti viene a cercare giù alla fabbrica e sa di poterlo fare solo tre volte nell'arco della vita. Quasi tutti si fermano alla seconda, si tengono l'ultima in serbo per sempre. Ester una volta ha detto che la taumaturgia è anche un fattore ambientale. È una delle prime frasi che hai annotato nel taccuino in cui metti gli scarti di fabbrica. La roba buona finisce nei mercatini, nelle aste, nelle collezioni private di facoltosi estimatori, nei corridoi delle banche. Ma anche nelle camerette di bambini selezionati e meritevoli, che lo ricevono per posta. Se ne occupa Trent, è così bravo che la maggior parte di quei bambini, una volta cresciuti, passa a farci visita di persona.


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